"senza immagine" non è tanto una provocazione; vorrei dire che l'invisibile è più appassionante, più creativo, più efficace del visibile. Come l'uomo che non ha più volto, di cui parla il profeta Isaia (si è nel Primo Testamento) a proposito del servo sofferente, la comunicazione che sfida l'immagine per affermare il primato dell'invisibile e della trasparenza ( direi: quel passare attraverso i muri del Risorto, come ne parlano i Vangeli), non è iconoclasta, semmai coniuga la cultura occidentale dell'immagine con la cultura orientale del "senza immagine". Il silenzio, il distacco, il linguaggio dei segni, il volto "senza volto" : tutto questo, come l'armonia tra l'individuo e la comunità, è retaggio dell'oriente. Forse l'oriente sta perdendo questo retaggio, sotto la spinta colonizzatrice dell'occidente, che spinge verso un individualismo esasperato e corrode culture millenarie, quali sono quelle asiatiche. La filosofia e la teologia in Occidente, specie in Europa, avevano dimenticato dalla fine del medioevo (che non è stato poi così antimoderno, come ci ha spiegato lo storico francese Etienne Gilson) di sviluppare, ma prima ancora lo aveva dimenticato la predicazione (che in quanto annunzio del Vangelo viene prima della riflessione teologica), la connessione, il collegamento tra persona e comunità, tra storia e fede. Ora che l'oriente viene in occidente, quest'ultimo non può sottrarsi alla sfida della "non immagine", del "senza volto"; se lo facesse, finirebbe sconfitto da un oriente che a sua volta è confuso e disorientato. La soluzione è nel Vangelo, ancora una volta. il don
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