La ricerca ha il fine di approfondire il racconto. Il giudizio di Sartre su Merleau-Ponty: "due volte esule", io l'ho interpretato non nel senso di "disertore", neppure nel senso di "straniero" (era Camus che sentiva in sé stesso il tormento dello straniero, cioè di non essere l'eletto), ma di "deluso". Ciò che Merleau-Ponty cercava era il superamento non solo del medioevo, ma anche di una modernità afflitta dalle contraddizioni e dai conflitti. Il dialogo con la psicologia, con la politica, con l'arte non era per lui un atteggiarsi a intellettuale; era piuttosto una ricerca intorno all'uomo che si situava ora in un mondo pieno di promesse non mantenute e di conflitti ipocritamente mascherati. Si potrebbe prendere quel termine usato da Sartre, "esule", nel senso più positivo di "colui che sceglie l'esilio", perchè nella patria non si riconosce e non è riconosciuto; ma quella condizione di "esule" lo avrebbe, per così dire, posto nella condizione di Socrate, il filosofo della "ricerca" (zetesis), di cui si parla in "L'elogio della filosofia". In Merleau-Ponty ci sono più dubbi che certezze? Il fatto che Sartre lo consideri "esule", condurrebbe a vedere in Mauriçe la sua destrezza nel sottrarsi alla "pressione culturale del tempo storico", per non lasciarsi dominare dal processo storico, e divenirne un critico esigente. Direi di più : leggendo le sue opere, ho avuto l'impressione che egli guardasse più dentro che fuori, più all'interno che all'esterno, anzi che volesse legare interno ed esterno; i suoi studi sulla "struttura del comportamento" e "sulla fenomenologia della percezione" gli hanno permesso di scrivere con grande libertà "le avventure della dialettica". Sartre avrebbe voluto che Mauriçe avesse riconosciuto che "l'uomo è l'assoluto" una volta riconosciuto che "l'assoluto non è più Dio". Ma il metodo metodologico impediva a Mauriçe una tale assersione dogmatica; egli pensava, a ragione, che l'essere umano è relazione, non assoluto. Io Merleau-Ponty l'ho capito bene, forse perchè in un certo periodo della mia vita l'ho incorporato : allora io sentivo dentro di me l'uomo di fede e l'uomo ateo, e l'uno faceva crescere l'altro. I dubbi, affrontati come si deve, fanno crescere la fede (avrebbe detto J. Guitton). La cultura era cambiata, ed il cristianesimo doveva fare la nuova fatica di inculturarsi. Il comunismo marxista, la psicoanalisi, l'arte moderna sfidavano le certezze ed i dogmi del cristianesimo. La ricerca di Merleau-Ponty l'ho sentita piena di lealtà, libera dai padroni del momento, ricca del desiderio di tenere insieme "visibile e invisibile". Egli non avrebbe mai detto, come disse Sartre, "l'inferno sono gli altri", perchè molto rispettoso dei dubbi e delle certezze che trovava non solo negli altri ma prima di tutto in se stesso. Se non fosse morto prematuramente, avrebbe potuto raccontarci cosa era stato quel suo essere "esule", segnato non dalla delusione e tantomeno dalla diserzione, ma dalla stella della ricerca. il don
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