La "Consolatio philosophiae" di Boezio è dei primi decenni del VI° secolo: la filosofia è vista come cura dell'anima, cioè intende curarne la malattia. Non ci si accontenta di parlare di quelle malattie che possono essere guarite con le erbe. Si parla quì di quella malattia mortale, che per essere guarita ha bisogno di una cura radicale. Si deve scegliere tra il "regno di Dio" e il regno di questo mondo. Agostino aveva narrato in precedenza, nelle "Confessioni", l'esperienza del retore Vittorino, maestro a Roma di molti illustri senatori, il quale tergiversava nel fare la sua pubblica "confessio fidei"; il presbitero Simpliciano lo incalzava con pazienza, ma senza fargli violenza o pressione, sino a quando Vittorino decise di riconoscere pubblicamente "il regno di Dio" superiore al regno di questo mondo. La fede cristiana è la scelta della patria: guarisce perciò la malattia mortale, che è proprio il vivere per questo mondo. Boezio lo dice molto bene, egli che era stato intellettuale e politico: la felicità in questo mondo è un'illusione. Si trastullino pure nel male coloro che amano questo mondo, ma non avranno mai una felicità duratura, anzi prima o poi ne resteranno delusi.
Interessante è un certo ritorno della filosofia contemporanea alla "pratica filosofica", alla "consulenza", persino ad un uso "terapeutico" della filosofia. Interessante per l'obiettivo che si pone : affrontare i problemi della vita con la conoscenza delle teorie filosofiche; interessante anche per il metodo che segue: nell'incontro personale tra consulente e consultante affrontare problemi personali non risolti, attraverso il richiamo alle domande più ancora che alle risposte che i filosofi hanno posto. C'è in questo una rivalutazione dell'incontro personale, che trova per esempio un corrispettivo nel campo della pratica spirituale: la riscoperta degli "esercizi spirituali" personalizzati, praticati da s. Ignazio e che alcuni gesuiti stanno riportando in auge con profitto. Montinari parla ai nostri giorni della "filosofia come cura": il che significa riconoscere che c'è una grave malattia da diagnosticare, per trarne una valida terapia. Dopo che una certa pratica psicoanalitica e psicologica ha dirottato l'anima e la mente sui sensi di colpa, rimuovendo l'esistenza della "colpa ontica", ora possiamo tornare a parlare con Kierkegaard di "malattia mortale". La terapia che il filosofo danese proponeva era molto semplice ma impegnativa: il mondo moderno non ha tanto bisogno di un genio ( ce ne sono troppi di geni che fanno guai) quanto di un testimone. Il genio è troppo spesso un esaltato che fa pagare ad altri il proprio narcisismo (di un Superio fortemente e nascostamente aggressivo; il testimone è sempre un umile operaio che non lavora mai solo per se stesso. il don
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