lunedì 26 febbraio 2018

Liberi, non servi!

Nicolai Berdiaev ha scritto due libri sulla libertà : Filosofia della libertà, e l'altro
Filosofia dello spirito libero.
Aveva fatto parte di quel folto gruppo di artisti e di scrittori che a San Pietroburgo
avevano preconizzato il cambiamento della Santa Russia, negli anni 10 del Novecento.  Molti aderirono alla rivoluzione, prima dei menscevichi (i bianchi), poi dei bolscevichi ( i rossi).
Berdiaev, come ha raccontato Solgenitzin in Arcipelago Gulag, non ritrattò le sue prese di posizione,  quando venne accusato dai bolscevichi di essere un reazionario.
Da uomo libero, cioè non servo di nessuno, aderì alla rivoluzione ma senza rinnegare la fede nel cristianesimo e nell'ortodossia della patria.
Dopo il processo imbastito dai bolscevichi, dovette lasciare la Russia e andare in esilio in Francia, patria di elezione di tanti fuoriusciti dalla Russia.
Nell'Autobiografia spirituale Berdiaev ha raccontato le vicende della schiavitù e della libertà riguardanti la Santa Russia, e non soltanto le vicende della propria  condizione personale.  In maniera forte viene in rilievo una scoperta: il futuro della libertà sta  nel Vangelo di Gesù Cristo e nella vita spirituale cristiana piuttosto che nella rivoluzione comunista. Quest'ultima già al suo nascere appare liberticida! Ma senza libertà non si costruisce una comunità autentica ed una società nuova.
Poi andate a dire che non abbiamo bisogno di spiriti liberi.       il don

sabato 24 febbraio 2018

Il cambiamento

Si preferisce  la parola cambiamento alla parola conversione. La cosa è comprensibile: non si ha  più fiducia nella religione e nella chiesa, e più in generale, nell'Altro. E la parola conversione è divenuta logora, utilizzata per mascherare comportamenti ambigui e discorsi ipocriti.

Tuttavia c'è l'urgenza di provare a divenire nuovamente esseri umani liberi.
E la prima liberazione da compiere è quella della persona dall'omologazione dell'uomo massificato, che non ragiona con la propria intelligenza e non ama col proprio cuore.
Il Nuovo Testamento utilizza due termini greci per dire la conversione-cambiamento: il primo è metanoia, ossia cambiare modo di pensare; il secondo è epistrophé, ossia cambiare direzione, fare un'inversione ad U.
Modo di pensare: non si può ridurlo al sociologico, all'economico, al culturale (gastronomico).   Dato che non ci si aspetta il cambiamento dalla storia, dalla psicologia e pedagogia, e neppure dalla politica. Per quest'ultima c'è una ragione di ripulsa: non è mai stata così in basso come ragioni ideali! Ma conoscenza storica, psicologica e pedagogica ci servono per non rifare gli errori già fatti in passato!
La conversione nel modo di pensare ( la metanoia) ci chiede di ridimensionare i miti moderni: il denaro, il lavoro, il potere, l'immagine. Tutti questi miti hanno raggiunto il popolo: e ogni persona del popolo è ora contagiata da essi.  E la preghiera, la meditazione? Non si dedica più tempo a Dio?   Non parlo delle cerimonie pubbliche; parlo della preghiera fatta in segreto, en to kriptò (nell'angolo più segreto della casa, magari anche di notte, dove e quando nessuno ti vede e ti sente, eccetto il Padre tuo che vede e sente nel segreto).
Modo di comportarsi : l'epistrophé riguarda la conversione dei comportamenti. C'è troppa violenza, troppa indifferenza: due estremi di una personalità paranoica e schizofrenica, postmoderna, senza radici e senza relazioni stabili, in preda al moto perpetuo (iperattivismo). Ma fosse un movimento di vita e di crescita! Aderiremmo tutti o quasi, o almeno i più attenti e i più coraggiosi!
Se la metanoia richiede il coraggio di pensare in proprio, l'epistrophè chiede il coraggio di agire fuori dai comportamenti della massa.
Senza essere  iconoclasti,  torniamo a coltivare l'interiore e liberiamoci dal culto della personalità e dell'immagine!  Le relazioni autentiche possono nascere solo dall'incontro tra due Io autentici, che dai  reciproci doni (disinteressati) , consentono la nascita dell'inedito e dell'imprevedibile!

martedì 13 febbraio 2018

La trappola!

SIMONE WEIL riconosce che l'unico argomento contro "Dio Amore", o contro l'amore di Dio, è la sventura. E' l'altro termine, oltre a disgrazia, che traduce il
francese la malheur    (di genere femminile, a differenza di le bonheur, che è di
genere maschile - lo dico senza offesa per le donne e senza esaltare gli uomini -  come  scusante per i francesi c'è il termine la grandeur, che è di genere femminile).
Chi è lo sventurato o il disgraziato?      Colui che viene colpito dalla necessità e dalle circostanze, senza che ne abbia colpa. E' l'innocente, la vittima senza colpa.
Chi è colui o colei che cade nella trappola della sventura o della disgrazia e vi rimane dentro senza che trovi la forza per uscirne, perché non trova la spinta verso l'alto?  Colui che s'affida alla dialettica dell'odio!   Difatti la sventura o la disgrazia è la confutazione dell'amore!
C'è un'unica soluzione alla sventura o alla disgrazia, dice la Weil, ed è Gesù Cristo, crocifisso e abbandonato, lo sventurato per eccellenza, perché è davvero l'innocente, il senza colpa. Come ha potuto Il Padre dimenticarsi del Figlio?    Dove si può trovare l'amore del Padre nei riguardi del Figlio, mentre      lo abbandona alla sventura e alla disgrazia estrema?
L'abbandono estremo chiede un amore estremo: Dio divenuto sventurato e disgraziato in Gesù  non concede all'uomo nessun alibi per non amare. Ora ogni spirito libero può riconoscervi l'amore, che è infinitamente più del dovere! La grandezza più grande coincide con la sventura più grande.
Simone Weil era già cristiana; ciò che l'ha tenuta lontana dalla Chiesa e dal battesimo è stata la "purezza catara", ossia l'idea di una comunità dei perfetti, nella quale soprattutto la gerarchia non dovrebbe esagerare martellando sul dogma e sulla morale.
Ma perché Gesù diviene lo sventurato per eccellenza se non per una misericordia infinita?
                                  il don

lunedì 5 febbraio 2018

LA PORTA

"Questo mondo è la porta chiusa. E' una barriera, e nello stesso tempo è il passaggio":
Così scriveva Simone Weil , nei Cahiers , III,  p. 121
In versi poetici continua:
Ouvrez-nous donc la porte et nous verrons les vergers
Nous boirons leur eau froide où la lune a mis sa trace.
La longue route brùle ennemie étrangers.
Nous errons sans savoir et ne trouvons nulle place.
...............................................
Que ni les vergers ne sont parus ni nulle fleur;
Seul l'espace immense où sont le vide et la lumiere
Fut soudain présent de part en part, combla le coeur,
Et lava les Yeux presque aveugles sous la poussière.

Se non c'è domanda di verità, non può esserci risposta
da parte di Dio.
E Dio non può rispondere col suo dono, se chi domanda
rivendica diritti e non chiede amore e verità.
il don

domenica 4 febbraio 2018

Il dono

Quei diavoli di francesi hanno sempre un passo avanti!
 Parigi rimane la capitale mondiale della cultura (della filosofia, della scienza,
della politica, dell'arte,  ...), del pensare.  Della teologia soltanto al modo  della squadra, non più del singolo teologo!
Ma sul     dono   e sulla svolta che      il paradigma del dono   può imprimere al
cambiamento d'epoca NELLA CONTEMPORANEITA', hanno detto cose
molto interessanti sia Paul Ricoeur sia Jean Luc Marion.
Ricoeur ha evidenziato (e non è poco per un teorico dell'ermeneutica) lo stretto rapporto tra dono e perdono. Il perdono è un metodo per non perdere il dono: è un ricominciare dal dono per raggiungere il reciproco riconoscimento. Così il conflitto
servo - padrone (evidenziato da Hegel) potrebbe essere risolto dall'amore che il dono esprime, piuttosto che da un' economica sia pure rivoluzionaria.
Marion ha ripreso il tema della "donazione" husserliana per mostrare che il dono è il  "fenomeno" (in senso kantiano) originario, col quale si presenta l'essere nel suo darsi all'esistenza. Ridare al fenomeno il primato che Cartesio aveva tolto per assegnarlo
al "cogito" (il noumeno kantiano) significa riconoscere che il dono si dà da se stesso, non è creazione dell'umano. In fatti, prima che sia donato, il dono  è ricevuto!
Tuttavia, i francesi non devono dimenticare che l'angelo della luce potrebbe divenire
lucifero, se scambiasse la luce con la grandeur.
Il dono ha la capacità di farci rimanere piccoli, poveri, mendicanti d'amore, servitori
del bene comune, mai ricchi e potenti!
il don

venerdì 2 febbraio 2018

Festa della luce

Nel prologo poetico (quello che precede il prologo narrativo) del Vangelo di Giovanni,
due parole colpiscono per la loro forza visiva, per le emozioni e i sentimenti che suscitano:  phos è la luce   -   skotìa  è la tenebra.
Chi sono coloro che preferiscono le tenebre alla luce, coloro che nella vita notturna cercano di riempire un vuoto di intelligenza e d'amore?
Telemaco non s'arrese alla "notte dei Proci", e mettendosi in viaggio per ritrovare il padre, s'affidò alla forza della luce piuttosto che alla vigliaccheria delle tenebre.
Nicodemo andò da Gesù di notte, per timore che il Sinedrio dei sacerdoti e dei dottori della legge lo considerasse un transfuga; gli mancò il coraggio di uscire allo scoperto. Alla luce del giorno, in fatti, si lotta contro l'ipocrisia e si afferma la parresia.
Si può vedere dove c'è la luce e dove permangono le tenebre?
Non è la semplice appartenenza ad un partito, ad una chiesa, ad un club, a rendere una persona umana luminosa, portatrice di luce. E' il coraggio che mostra nella lotta contro la tenebra che fa di una persona una trasparenza della luce.
il don