sabato 23 agosto 2014

crisi o inizio ?

Riconquistare sobrietà al posto dello spreco, condivisione invece dell'accumulo di beni, relazioni più umane al posto di una competizione dissennata, un gioco più pulito invece del gioco sporco. Qualcosa di buono la crisi l'ha fatto, non c'è che dire : ha messo in crisi l'idea di un progresso illimitato! 
Ora si può ricominciare : non più ognuno per contro proprio, tutto teso nella conquista di un proprio sogno o di un proprio obiettivo; ma insieme, un nuovo inizio, provando a ricominciare dalla reciprocità.
La natura e la storia devono avere al loro interno un sistema di regolazione : quando si sfora una certa soglia, interviene un evento di riequilibrio. Un uragano, un incendio, un terremoto non sono soltanto distruzione, danno modo alla natura di far nascere ancora la vita. Una guerra, un'epidemia, uno sterminio non portano soltanto morte, danno modo alla storia di ricominciare. La natura e la storia ci invitano a superare la nostra pigrizia, e di non vivere più comodamente di abitudini, ma d'inventarci un nuovo lavoro, una nuova fatica, UN NUOVO AMORE facendolo nascere proprio dalla radice del dolore.
Ogni crisi invita ad un discernimento più attento, meno distratto, più pronto alla sorpresa e all'avventura, più aperto al rischio invece di rimanere prigioniero del  calcolo.
Benedetta crisi : c'invita a far leva non solo sullo sforzo delle nostre forze;  ci fa riscoprire desiderio e slancio, superando la "via americana dei bisogni" e le relazioni di massa improntate al conformismo.
Il dono della crisi è ora questo : scoprire il legame tra cultura del nuovo, cultura del dono, cultura dell'incontro.   
C'è una crisi, ma per creare un nuovo inizio!  il don

sabato 16 agosto 2014

camminare insieme

Il testo di Martin Buber "Il cammino dell'uomo" porta l'impronta del soggetto, del cammino dell'io. Eppure, verso la fine del testo, apre al cammino del noi, partendo dal conflitto. "Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finchè quì non la si è trovata. (...) Si tratta di superare il conflitto fra tre principi nell'essere e nella vita dell'uomo : il principio del pensiero, il principio della parola, il principio dell'azione. Ogni conflitto tra me e i miei simili  deriva dal fatto che non dico quello che penso e  non faccio quello che dico. In questo modo la situazione tra me e gli altri s'ingarbuglia e si avvelena sempre di nuovo e sempre di più. (...)  Con la nostra contraddizione e la nostra menzogna alimentiamo e aggraviamo le situazioni conflittuali e accordiamo loro potere su di noi al punto che ci riducono in schiavitù. Per uscirne c'è una sola strada : capire la svolta - tutto dipende da me - , e volere la svolta - voglio rimettermi in sesto" (pp. 45-47).
L'egocentrismo può essere superato se si parte da una spiritualità ed una cultura del noi : la prima deve garantire il "sentirsi in famiglia", la seconda deve permettere l'incarnazione nella società. Saper valorizzare le pietre di scarto, facendone qualcosa di necessario, riesce soltanto a coloro che non sono concentrati su se stessi, ma piuttosto fuori di sè, sull'altro. Il conflitto del potere, il conflitto della ricchezza, il conflitto del piacere : queste tre forme di conflitto nascono quando l'io intende accontentare se stesso piuttosto che promuovere l'altro. Si fa di se stesso un marmo prezioso (un marmo di Carrara, esportabile in tutto il mondo) e dell'altro solo una pietra di scarto. Se voglio bene all'altro come a me stesso, rovescio la situazione : finisce il conflitto e inizia la collaborazione; si boccia l'avidità (il volere sempre di più) e s'impara il dono; si scopre la preziosità del dolore (è la radice che fa crescere la pianta). Lo scambio di vita non è più una lezione da impartire all'altro, ma soltanto un dono da offrire con disinteresse.  il don

giovedì 14 agosto 2014

ricominciare

Il testo di Paul Ricoeur, "Ricordare, dimenticare, perdonare", è uno scritto tra i più impegnativi e decisivi per la relazione che imbastisce tra storia e vita (come esistenza), tra psicoanalisi ed etica, tra colpa e perdono. 
Il fardello della colpa pesa più sulla vittima che sul persecutore. La vittima non perdona a se stessa di essersi lasciata ingannare; mentre il persecutore continua a credere che il più forte debba imporsi sul più debole. Se teniamo presente ciò che diceva Agostino nelle Confessioni , XI, 20.26 : "Il presente del passato è la memoria; il presente del presente è la visione; il presente del futuro è l'attesa", dobbiamo costatare che l'attesa del futuro può rimanere bloccata o preclusa dal fardello della memoria che fa pesare il danno ricevuto. Nietzsche aveva parlato del danno che la storia arreca alla vita, proprio per l'eccessiva commemorazione che la storia esibisce della colpa passata : la stessa vittima potrebbe rimanere vittima della propria esaltazione nella ri-memorazione del danno ricevuto. D'altronde, non si potrebbe esaltare l'oblio come l'atto che ridona la salute. L'aspetto salutare del ricordo sta nel considerare le tracce conservate dalla memoria. Ma un'operazione decisiva s'impone nei confronti della colpa : la vittima è la sola abilitata al perdono, come fa notare Ricoeur. Se la vittima rifiutasse il perdono ( e potrebbe farlo), non danneggerebbe solo il persecutore che l'ha privata di un bene, ma confinerebbe se stessa nella prigione del passato (Sartre lo diceva con una espressione che è veramente terribile : "ci si ripete incessantemente; non si ricomincia mai").
Il futuro può essere aperto solo dal perdono, cioè da una perdita per ciò che è stato tolto. Il perdono non è facile, è difficile : proprio perchè si tratta di buttarsi in una perdita e di rinunciare a vincere. Ma, nella vita dello spirito accade quel che succede nella natura quando un terremoto o un alluvione devasta e ricompone : quel che viene tolto è restituito sotto forma di un altro dono.   il don
 

lunedì 4 agosto 2014

il gusto di vivere

C'è una pressione culturale che impedisce di gustare in pienezza la vita : un clima festaiolo, di divertimento continuato (già Pascal metteva in guardia contro il gioco perverso che umilia la vita)  induce a vivere distratti e in superficie. Non ci si accorge del male che si procura all'altra persona, e all'autopunizione che s'infligge a se stessi. Non si coglie in profondità l'atto del fare e del dire : per esempio si scambia un atto di generosità con un'estorsione, un atto di perdono con un atto di debolezza, una vita spesa a studiare e a leggere con uno scopo recondito di successo o di carriera. Gli empiristi escono sconfitti da una lettura dei fatti in superficie. Chi vuol conoscere l'atto umano, deve penetrare all'interno. Raccoglimento ( en soi) e trascendenza (sur soi), diceva Emmanuel Mounier in "Il personalismo", sono le caratteristiche imprescindibili della persona. Lo sviluppo di essa, dice J.L. Marion (in Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione ), suppone la scoperta del fenomeno, e quindi della vita, come dono. Il cominciamento della vita è riceverla come dono; il compimento è infine donarla, non trattenerla per sé. Lo sviluppo tra inizio e  fine è ancora farne dono.    Ma una vita non può essere una serie di atti eroici, per far venir fuori il proprio io. Non può essere neppure lo svolgimento cinico di chi si lascia vivere come viene. 
Il divertimento che s'accompagna al solo gusto di mangiare, bere, ridere finisce col deprimere: mentre cura i bisogni del corpo in maniera esasperata, trascura lo spirito e spesso anche la psiche. E non ci si accorge che narcisismo, edonismo e consumismo conducono  se stessi e le persone intorno all'estraneità; la persona diventa straniera a se stessa, e non solo all'altra.
Paradossalmente, lo straniero in patria trova la patria dappertutto, ossia in ogni terra straniera. Ricevere ogni circostanza, anche quella non cercata, come un dono significa aprirsi all'avventura, alla sorpresa, all'incontro autentico.      il don