sabato 30 maggio 2015

Dare la vita è gioia

"Il sacrificio più grande è dare la vita per l'opera di un altro". Così mons. Giussani, in L'avvenimento cristiano. Io direi : "Non c'è gioia più grande che dare la vita per l'opera di un altro", e questo grazie ad un Papa, vescovo di Roma, e ad una donna, fondatrice di un'opera, non grazie a me.

Quando si dona la vita per una propria opera, si ha sempre la paura di perderla. Quando si dà la vita per l'opera di un altro, questa paura non esiste, il dono è in pura perdita.
Il dono più grande che il Dio-Figlio fa al Dio-Padre è quello di realizzare la sua opera : l'obbedienza alla volontà del Padre è per il Figlio un'opera d'amore; l'annichilimento (comprese passione e morte) del Figlio è il segno che Egli non ha cercato la propria gloria (il  successo, il proprio interesse), ma solo quella del Padre. Il dono più grande che il Dio-Padre fa al Dio-Figlio è quello di dare visibilità al Figlio, rimanendo Egli invisibile; rimanendo Egli, silenzioso, parla soltanto attraverso il Figlio. E qual'è il dono più grande dello Spirito Santo? Non mostrare se stesso, ma l'amore reciproco (l'agape) del Padre e del Figlio, la loro perfettissima unità.

Il dono in pura perdita è un perfetto guadagno, diceva J. Henri Newman, parafrasando San Paolo. 
Quando una famiglia, o una parrocchia, o un gruppo, o una comunità si chiudono a riccio, non vivono più per l'altro, e si perdono in se stessi, inaridiscono, divengono infecondi, ristagnano, hanno perso il più grande guadagno. La festa della Trinità passa anche quest'anno come una consuetudine che non cambia nulla? E pensare che nei primi secoli della Chiesa, per la  vita e la  verità della Trinità, uomini e donne, teologi e laici, vescovi e sposati hanno dato la vita, investendo lì ogni risorsa! Il loro perdere la vita è stato il nostro guadagno.  il don

sabato 16 maggio 2015

La sfida del Vangelo

Il Vangelo sfida il mondo e la stessa chiesa mondana. La sfida riguarda il cambiamento della società e della comunità, e al tempo stesso della persona.
Nel Novecento nascono molti movimenti ecclesiali : Taizè, Movimento dei Focolari, Comunità S. Egidio, Comunione e Liberazione, Rinnovamento dello Spirito, ecc. Tutti fanno leva sull'esperienza del Vangelo e sull'ascolto dello Spirito Santo.
 L'invito alla conversione non comporta imposizione o coercizione di sorta. Lo Spirito Santo invita ad amare,  non costringe, non fa violenza, anzi suggerisce di abbandonare i metodi mondani, torture e chiacchiere, per risolvere problemi e allontanare i guai inutili.
Scriveva Romano Guardini nel 1922, nel saggio "Il senso della Chiesa"  : "Si è iniziato un processo di incalcolabile portata : il risveglio della Chiesa nelle anime" (p. 15). E ancora :"La nostra epoca è in procinto di passare dall'accentuazione dell'elemento individuale e soggettivo a quella dell'elemento comunitario e oggettivo. E' sulla Chiesa quindi che cadrà più forte l'accento" (p. 55)
E' lo Spirito Santo che ridona vitalità alla Chiesa; apre alla pienezza della verità, facendo comprendere l'efficacia travolgente del Vangelo, per la trasformazione che opera nella persona e nella comunità quando si vive l'amore reciproco.
Il cambiamento, quindi, non è un'operazione pelagiana, affidata alle sole forze umane, alla presunzione umana di creare un mondo nuovo ed una nuova umanità. Tale presunzione, nel corso della storia, ha incontrato sempre il fallimento.
La sfida è quella della fede e dell'amore : essere all'altezza del Vangelo, perseguendo mitezza e umiltà invece che violenza e morte, servizio  nascosto al posto di un'esibizione narcisista. Vivere il Vangelo dona molta più soddisfazione che dire parolacce e usare il travestimento del sacro per dire soltanto il profano.       il don 

venerdì 8 maggio 2015

Confronto

La lettura delle "Conferenze brasiliane" (1979) di Franco Basaglia e di "Il movimento di Comunione e liberazione. 1954-1986. di Luigi Giussani. Conversazioni con Robi Ronza,   un lettura fatta in
simultanea, induce al confronto tra due metodi e due visioni del mondo.
Il primo, laico e comunista; il secondo, prete e religioso.
Ma prima di vedere le differenze tra l'uno e l'altro, nella lettura si è colpiti da un tratto comune : ossia 
imparare dall'esperienza e dalla storia. La lotta di Franco Basaglia per la chiusura dei manicomi fa leva sulla pratica e sul coinvolgimento dei lavoratori e della società civile per reintegrare i matti o i folli nella comunità umana. Questo interessarsi  dell'umanità sofferente, coinvolgendo non solo psichiatri e operatori sanitari, ma anche e soprattutto la comunità civile, ha di mira il bene del malato, non il lauto guadagno del medico e dello psichiatra. Di Franco Basaglia si potrebbe dire, sotto questo aspetto : ecco un medico italiano in cui non c'è falsità.
Leggendo le conversazioni di mons. Giussani con Robi Ronza si è colpiti ugualmente dalla passione di rendere l'avvenimento cristiano presente nella storia odierna e di mostrarne tutta la forza trasformatrice. In un periodo nel quale la chiesa italiana, dopo essersi arroccata nel liturgico e nel devozionale,  rimane succube della politica secolare e del pragmatismo mondano, don Giussani inizia un lavoro educativo e culturale con i giovani e poi con le famiglie, una nuova evangelizzazione che pone al centro l'esperienza nelle sue espressioni cristiane : la cultura, la carità, la missione. Con uno spirito, si direbbe, kierkegardiano, intende mostrare che il cristianesimo non può rimanere succube dell'illuminismo e del comunismo, ma ha da realizzare una sempre nuova incarnazione del Dio fatto uomo nella storia.
La differenza tra Basaglia e Giussani sta proprio nella durata della pratica trasformatrice : il comunismo è finito, ed il grande affidamento che il coraggioso psichiatra poneva nel proletariato si è disintegrato; mentre il cristianesimo ricomincia a vivere, risorgendo dalle ceneri della carne mortale, e ritrovando nel Vangelo l'energia per riproporre una nuova cultura.  il don

lunedì 4 maggio 2015

Incontrarsi per formarsi all'oltre

Incontrarsi per "discutere non degli affari propri". Iniziando a leggere "Le conferenze brasiliane" di Franco Basaglia, sono stato colpito da quest'affermazione: "discutere non degli affari propri", che esprime molto bene il senso del dialogo.   Mentre il colloquio è una conversazione tra amici e conoscenti su questioni personali o private, il dialogo sembra proprio essere un discutere di ciò che riguarda la città, la società, le problematiche della comunità nel suo insieme.

 La chiusura dei manicomi e la successiva apertura delle centri di cura non sembra aver portato i frutti sperati. La presa di coscienza che ha portato alla chiusura dei manicomi, come luoghi di oppressione e di dolore ma non di cura, non è stata sufficientemente continuata, approfondita, condotta avanti come battaglia sociale e culturale. I folli risultano per la maggior parte "cronicizzati".  Il folle è stato restituito al "potere dei suoi familiari" (spesso non interessati al suo recupero e reinserimento sociale) e al loro maleplacito più che beneplacito.
Franco Basaglia aveva impostato il problema della follia, come aveva fatto anche Michel Foucault in Francia, sul nesso : follia - esclusione sociale.   L'istituzione che si difende di fronte al sapere, adottando un metodo repressivo e di "scarto" ( per usare un termine ridivenuto significativo e pregnante, grazie all'utilizzo che ne sta facendo papa Francesco), emarginando il sapere (ossia ponendolo come luogo di dominio), si sottrae al compito più importante al quale è deputata : servire il bene di ogni persona, insieme a quello della comunità. Riprendere gli scritti di Franco Basaglia oggi, in una prospettiva de-ideologizzata, rende ancor più attuale quell'azione di cambiamento che era stata iniziata non solo con passione ma che era stata soprattutto portata avanti pagando un prezzo all'istituzione medica, alla magistratura, alla società ben pensante.

Proprio oggi che parliamo soltanto degli affari nostri, dappertutto, persino nei tribunali e nei templi, oltre che alla radio e nelle trasmissioni televisive, chi parla di cambiamento della comunità (mostrandone le colpe ed cercandone i rimedi) non gode di molto ascolto.  Proprio ora è divenuto urgente "incontrarsi per discutere non degli affari propri".    il don