martedì 21 luglio 2015

Dire di no!

Coraggio è dire di no all'occultismo, alla  New Age, alla Chiesa dell'Unificazione (Mounis e Milingo), al Nuovo Ordine Mondiale, a tutto quell'ecumenismo che i Padri dell'epoca d'oro della teologia avrebbero squalificato come "eclettismo".
 Il mondo crea sempre nuove fedi, che fanno leva  sul denaro e sul piacere (sesso, droghe...) per far proseliti.

La vera fede cristiana è quella che vive del Vangelo :  così è capace di lottare e vincere contro lo spirito mondano. Non per nulla il "comandamento nuovo" che Gesù istituisce è l'obbligo di "farsi santi insieme", ossia aiutarsi tra uguali, rimanendo liberi, a scoprire cos'è vivere e "dare la vita". 


Dire di sì alla sequela di Gesù e del Vangelo, senza lasciarsi prendere dalla smania e dal prurito di "fondare un qualcosa di nuovo", è ancora dire di no al mondo.  L'umiltà, la mitezza, addirittura la debolezza rimangono virtù (non lo sono la potenza del denaro e della violenza, che portano con sè corruzione e morte), per essere in grado di riconoscere il "Signore della vita" e la Grazia che viene soltanto da Lui.




il don              



sabato 18 luglio 2015

Ancora sul coraggio

Anche un laico, non solo un credente, potrebbe unire : coraggio, rischio, sequela.
Scrive Slavoj Zizek, nell ' introduzione al suo libro "Vivere alla fine dei tempi" : "Nel Seminario XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante, Lacan fornì una succinta definizione della verità dell'interpretazione in psicoanalisi : "L'interpretazione non è messa alla prova da una verità che decida in base ad un sì o un no, essa libera la verità in quanto tale. Essa è vera solo nella misura in cui è veramente seguita"". (p.15).
 Davvero molto interessante per un cristiano questa affermazione di due laici!
E due pagine dopo, il filosofo di Lubliana, prosegue : "meglio correre un rischio e impegnarsi in un Evento di verità, anche se si conclude in una catastrofe, che vegetare in quella sopravvivenza utilitaria-edonistica e priva di eventi che Nietzsche chiamò l'ultimo uomo".

Gesù, il fondatore del Cristianesimo, ha detto di sè "Io sono la via, la verità, la vita", superando ogni posizione di astrattismo nel farsi della verità, e collegandola alla vita e al percorso (la strada).  Il coraggio è necessario nella scelta della verità, ma è nel rischio della sequela che la verità si mostra.
Nel nichilismo filosofico e pragmatico dell'Occidente, europeo e americano, ma anche di tutti quei paesi che sono stati colonizzati da un simile nichilismo, si trova una resa davvero sconcertante di fronte all'individuazione del nemico. Sulla scia del "Trattato della tolleranza" di Voltaire (per altri versi condivisibile, quando condanna le guerre di religione), e dell' ultimo uomo di Nietzsche (che vive di una felicità banale), si predica dappertutto : "troviamo un accordo su ogni cosa", dichiarando così che non c'è più un nemico, perchè non c'è alcun male. Infatti chi è il nemico se non colui che trama lo scacco matto per la mia vita? Giustamente Zizek individua il nemico nell'utilitarismo e nell'edonismo: la resa a quel nemico rappresenterebbe il vero scacco.
Il fatto che "la teologia stia di nuovo emergendo come punto di riferimento per la politica radicale (di sinistra)" (pag. 554) dice un fatto nuovo : questa volta la relazione tra cristianesimo e marxismo non sarà di sottomissione o di imitazione, e neppure soltanto di confronto; l'incontro potrà avvenire soltanto alla prova dei fatti, ossia chi è più capace di rischio e di sequela (lì è il coraggio), trascina il resto, senza che si crei un ulteriore scarto.  il don


giovedì 9 luglio 2015

Opprimere o subire?

In politica, colui che opprime è detto tiranno, anche quando formalmente c'è la democrazia. 
In psicoanalisi, colui che opprime è il Super-Io, che a ragione viene considerato il persecutore.

La domanda che ci si pone è : meglio subire, o meglio opprimere (per non dover subire)?

Colui che opprime esercita l'aggressività propria del tiranno e del persecutore; rimane perciò in quella condizione, se non ha scoperto valori più alti. Per il greco antico, la parola kalòn indicava sia il bello sia il valore (più tardi, soprattutto nella filologia tedesca, il termine è stato estetizzato) : una parola
che unificava senso estetico e senso economico. Ora, i valori non sono tutti uguali; esiste una gerarchia dei valori. Ogni tempo compone una gerarchia dei valori : in un tempo storico, l'onore vale più del benessere; in un altro tempo, la coerenza con i propri princìpi vale più dell'immagine sociale; ecc.
  Il valore risponde ad un'economia della persona e della comunità, oltre che ad un rispetto del creato. Il valore, per essere affermato, richiede un'azione o un'iniziativa della persona.

Subire potrebbe sembrare un non-valore, una rinuncia all'affermazione dei valori. Ma non è così!   Subire richiede piuttosto un saper-soffrire, ossia trasformare in senso ciò che appare come non-senso.
Nel momento depressivo, recessivo, fallimentare, il saper-soffrire diviene la chiave per uscire dalla situazione precaria : viene richiesta più energia psichica e spirituale, più lotta per ritrovare il gusto della vita e della ricerca. Paradossalmente, proprio quando si subisce, si è più in grado di prendere coscienza e consapevolezza dei valori. Ma occorre accettare un percorso contro-corrente, che a volte impone una vita in solitudine. Basta però non chiudersi a riccio , e rimanere sempre aperti al nuovo che la passione (il subire) genera.  il don

martedì 7 luglio 2015

Il coraggio dell'insieme

C'è un coraggio dell'individuo che potrebbe divenire facilmente ammirazione narcisista dell'io : conservare il dominio sul resto, sul non-io, reputandolo scarto.

E c'è un coraggio del Dio cristiano, un coraggio, si direbbe, trinitario. Il coraggio della relazione che consente la pienezza del dono e dell'incontro. Un vivere per l'altro, non per se stesso. Un non-essere che rende possibile l'essere.

Come  poter vivere il coraggio dell'insieme, in una società dell'immagine e della spettacolarità, della comunicazione strapazzata nel chiacchiericcio, che adusa vessar ogni aspetto, anche il più intimo, della persona umana?

Da soli non si può! Si parte dallo zero; e si rimane nello zero.

Solo l'uno è l'insieme. Ma l'insieme non è la somma delle parti : uno più uno due. La somma resta una somma, ma non è l'insieme. L'insieme potrebbe essere soltanto "l'uno che ha perso le parti" ( le parti che sono morte nell'uno), per ritrovarsi "tutto", non più parti. Nell'insieme ogni parte è l'uno, ossia il tutto. Non ho fatto nè un ragionamento matematico, nè una riflessione psicologica. Questa è piuttosto un'intuizione spirituale, una luce della rivelazione cristiana, che potrebbe diventare vita quando fosse riconosciuta come via e verità. E questa visione non è quella di Marx, che legava il coraggio alla vergogna e al terrore. La rivelazione cristiana ha messo in campo l'amore (il tutto e l'uno), che brucia ogni vergogna e ogni terrore (ogni peccato e ogni paura dell'inferno) : e alla sola condizione dell'amore si ritrova il coraggio dell'uno e dell'insieme, ossia del tutto.    il don

lunedì 6 luglio 2015

Coraggio !

Slavoj Zizek, in Vivere alla fine dei tempi, mette il coraggio in relazione alla storia e all'esistenza (alla vergogna e al terrore). Scrive : "Quando Marx analizzò l'arretratezza della Germania nello scritto giovanile Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, fece un'osservazione sul legame tra vergogna, terrore e coraggio che viene di rado notata ma che è invece cruciale :

"Bisogna rendere ancor più oppressiva l'oppressione reale con l'aggiungervi la consapevolezza dell'oppressione, ancor più vergognosa la vergogna, dandole pubblicità. Si deve raffigurare ciascuna sfera della società tedesca come il marchio d'infamia della società tedesca, bisogna far ballare questi rapporti mummificati cantando loro la loro propria musica! Bisogna insegnare al popolo ad avere orrore di sè stesso, per fargli coraggio"".

Si può dire di avere coraggio solo quando si è presa coscienza della propria situazione vergognosa, al punto da esser presi dal panico e dal terrore di non farcela. C'è coraggio solo quando s'impegna la propria esistenza in un cambiamento che sfida le consuetudini "mummificate", divenute un comodo appiglio d'interessi di "casta" o di gruppo, o di parte.

Certo, il coraggio non deve mai divenire temerarietà, per non andare incontro ad un fallimento sicuro.
Il coraggio deve programmare una strategia che tenga in debito conto la prudenza e la pazienza, sapendo bilanciare infine la giustizia e la solidarietà, il proprio bene col bene dell'altro.   il don