lunedì 31 dicembre 2012

una teologia nuova

Il libro "Dio Amore" della teologa Marisa Cerini è un'opera di teologia nuova, non di "nouvelle theologie". La differenza è tutta nell'autore : la teologia nuova è di ogni tempo storico, e la fa essenzialmente lo Spirito Santo; l'autore umano ha un'importanza secondaria. La "nuova teologia" invece, si potrebbe dire, è quella che non riesce a liberarsi dalla "pressione culturale del tempo".
Fare esperienza dell'amore di Dio a partire dal Vangelo vissuto rinnova il modo di fare teologia : un metodo di ricerca che mette da parte la controversia e il desiderio di vanagloria (affermare un proprio pensiero), e inaugura tra i teologi un reciproco comprendersi. Il fondamento del fare ricerca teologica diviene il come, ossia la congiunzione greca "kathòs" che indica "non un semplice paragone...ma una conformità profonda" (vedi nota a pag. 54). La natura divina che viene comunicata quando si vive l'amore vicendevole come Gesù l'ha vissuto nei nostri riguardi, diviene anche comunicazione del pensiero divino quando i teologi si amano tra loro con la misura di quel "kathòs". Per fare teologia nuova, occorrerebbe mettere in atto due condizioni: la prima è un patto di mutuo riconoscimento (ossia saper vedere nell'altro quella verità che la divina Verità vi ha messo), la seconda è un patto di misericordia (ossia vedere il nuovo che va aldilà dell'errore riconosciuto). L'amore intellettuale è la virtù regina nel fare teologia, ma non può prescindere dalle virtù serve, ossia l'umiltà, la mitezza, il coraggio. Come nella Trinità di Dio il Padre ed il Figlio non smettono mai il dono reciproco, ed il loro noi è il legame dello Spirito Santo, Unità che è prima della Trinità; così chi vuol fare teologia deve mettere l'unità prima della distinzione, ossia la Verità divina prima della verità umana. il don

domenica 30 dicembre 2012

la verità appassionata

Chi cerca la verità deve disporsi alla fatica di un desiderio-passione, a pagarla per quello che vale. Di qualità si parla, non di quantità. Certo l'accumulo di idee ed esperienze può servire a raggiungere il "punto critico", il punto di svolta dalla quantità alla qualità. Ma c'è una cosa o una persona che potrebbe dire "Io sono la Verità"? Eppure Gesù l'ha detto, attirandosi dai suoi familiari l'attributo di "pazzo", dai suoi correligionari l'attributo di "indemoniato". E' il prezzo che ha pagato per essersi fatto uomo, da Dio che era. La sua è la Verità divenuta passione per l'umanità.
Per ogni persona umana la passione non si esaurisce nella ricerca della verità; la passione continua anche dopo che la si è trovata; con una differenza qualitativa però. Mentre la passione nella ricerca della verità è spesso angosciante, dopo averla trovata la passione per la Verità diviene un fuoco che brucia di felicità. Non c'è felicità più grande di questa: poter vivere il Vangelo per essere divinizzati. Tutto il resto non conta. Scoprire nel Vangelo che l'altro non è ostacolo alla mia felicità, anzi è proprio la condizione della felicità, significa penetrare nel cuore del Figlio incarnato: Dio s'è fatto Bambino per rivelarci il cuore e la sostanza della vita trinitaria. Il Padre ed il Figlio che si amano nel reciproco donarsi e nel fare l'Uno la volontà dell'Altro, svelano all'umanità il senso e la dinamica della vita. La cultura del nostro tempo assomiglia molto alla cultura di Pilato, che disse al Cristo : "Che cos'è la verità?". E lo disse con un tono scettico, rassegnato, senza la passione della ricerca. E Gesù si ritrovò abbandonato dagli uomini prima ancora che dal Padre. L'impero di Roma, di cui Pilato era un rappresentante, durerà ancora tre secoli, poi morirà. Tanti romani, che avevano visto  trasformarsi la disciplina latina in imperialismo, troveranno una Verità più grande nel Cristianesimo: la Verità-Amore, la Persona-relazione, la Comunità-comunione. Ora i protagonisti della storia saranno Dio ed il popolo: la storia nuova non vedrà più nè le guerre dell'Olimpo, nè le guerre tra uomini. Il regno di Dio sarà di pace e di giustizia. La storia nuova continua: così si rende testimonianza alla Verità!  il don

la via stretta

La via stretta, di cui ha parlato Gesù e di cui il Vangelo ci ha tramandato non solo l'espressione ma anche il significato (lo Spirito Santo è l'ermeneuta della Parola divina), potrebbe essere anche un'autostrada; allora la larghezza della strada o la sua strettezza non sarebbe riferita allo spazio esteriore e neppure al tempo, ma ad un'altra dimensione che chiamerei dell'annientamento (la via stretta) contrapposto al dominio (la via larga). Il dare la vita, per Gesù, diviene possibile solo nella forma del farsi servo, nell'espressione del nada (direbbe Giovanni della Croce). Se io mi faccio "niente" (nada), allora Dio può donarmi il "tutto" (todo). La via stretta, allora, non è uno spazio geografico, neppure uno spazio storico o psicologico (quì la gnosi non ha nessun potere trasformativo); è uno spazio dello spirito e della vita spirituale più ancora che uno spazio dell'anima (nel senso di psiche). La via stretta è il disegno divino, è il suo progetto  su ogni persona umana che viene così orientata a SUPERARE  IL RIPIEGAMENTO NARCISISTA DELLA REALIZZAZIONE SOGGETTIVA AD OGNI COSTO, per entrare attraverso quel progetto divino nel servizio della comunità umana. "Io sono la Via" : nessuno meglio di Gesù ha potuto dirlo, per il fatto che Egli non è solo un profeta o un mistico, sarebbe ancora soltanto qualcosa di umano; invece, siccome è Dio, la sia Via è un percorso infallibile. Gesù indica se stesso come la Via, seguendo la quale non ci si potrebbe mai smarrire: se io la seguo, finirò sempre per ritrovare me stesso in Dio e in tutta l'umanità che è una sua creatura, perchè sua creazione. La via stretta è ancora la via della croce e dell'abbandono :  la via dolorosa che conduce al Calvario, e prima ancora la via della Galilea, della Samaria e della Giudea, una via piena di incomprensioni, di insulti e di torture, di amore non ricambiato, di doni che non vedono riconoscenza e gratitudine. La via stretta è la via dell'amore che sceglie la passione per affermarsi. Dice il testo dell'Imitazione : "Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio". Potremmo dire, per completare : "la vita di Cristo fu tutta un dono di grazia, di gioia, di guarigioni, di amore, di perdono dei peccati". Io vado ancora alla ricerca di Lui, per essere guarito e per lasciarmi condurre soltanto dalla sua mano infallibile. il don

domenica 23 dicembre 2012

la vita nuova

Ogni vita, sin dalla nascita, deve lottare contro la morte e la decrescita.
Ogni vita, sin dalla nascita, deve affermare la crescita e la riuscita.
La vita divina si fa storia, nella persona e nella comunità, quando trova l'assenso incondizionato alla sua Parola ed al suo Progetto. La Parola è quella di un Dio che si fa Uomo e dona la vita nuova all'umanità. Viene tra noi come un volontario, non come un funzionario. Viene con tutto l'amore e la passione di togliere dal mondo la radice del male, dell'ingiustizia, dell'oppressione. Viene per servire e non per essere servito. Viene per guarire, non per renderci più difficile la vita. Viene per accogliere, non per creare barriere o bastioni. Viene non per caso, ma per necessità. Viene, viene sempre....
Non è mai vana l'attesa : se gli dai fiducia, se ti fidi della sua Parola, se lo accogli, ti apre una strada verso il tuo prossimo, che diviene più che amico e fratello. La sua scelta di farsi vicino, e prossimo e fratello e amico può divenire ora la tua stessa scelta. La vita nuova è proprio Lui, la Vita che ti comunica. A te non chiede altro se non che tu dica sì alla pienezza di vita, non solo individuale ma comunitaria. E non è poco! il don  

sabato 22 dicembre 2012

Dio si è fatto bambino

"L'incarnazione di Dio non è idillio, è scandalo: Dio ci viene incontro nell'umiltà di un bambino". Così il vescovo Klaus Hemmerle invitava a meditare su un dono di grazia che non ha niente di edulcorato; l'evento mostra sì tutta la tenerezza di un Dio che non rimane estraneo o lontano rispetto al dolore ed al male umano, ma al prezzo di una crocifissione che  inizia già nella nascita, con l'abbraccio alla povertà, alla mitezza, alla precarietà, al nascondimento. Mentre il percorso umano tende al divenire adulto, per mostrare potenza, ricchezza, forza, immagine di dominio e di violenza, il Dio-Uomo mostra una Via nuova, una Vita inedita, una Verità vissuta. Il dare la vita si coniuga non con una verità oggetto di controversia ma col riconoscimento dell'altro e con una strada che sarà percorsa insieme. L'esperienza del nuovo inizio avviene quando non ci si scandalizza più, quando il cuore segue la stella. Dice il vescovo Hemmerle: "Il tuo cuore non si è ingannato, inginocchiandosi dinanzi al Bambino". Gesù lo dirà a chiare parole: "se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli". Bisogna lasciare a Dio l'iniziativa, per essere sicuri di centrare il bersaglio; nello stesso tempo occorre fare tutto rimanendo uniti alla sua volontà e come se tutto dipendesse dal mio amore e dalla mia azione. Dio fa nuova la storia; ed il cristiano è chiamato al fare come al contemplare.  Il lavoro senza preghiera rimane ancora sotto il segno della maledizione; la preghiera senza lavoro rinnega il grande lavoro di Dio dentro l'avventura umana. Dio s'è avventurato quando ha assunto la natura umana, non ha programmato cioè una vita comoda per se stesso; non ha scelto nè la potenza nè la ricchezza e neppure un'immagine spettacolare per imporsi. Ha seguito la sua stella, la stella del suo cuore, l'amore (che è lo Spirito, ossia il dono); per arrivare a noi s'è affidato alla stella. Chi poi ha seguito quella stella è giunto alla grotta dell'amore e ha scoperto che povertà, umiltà e abbandono nascondono la regalità di Dio ed il far parte del suo regno. Il peccatore è stato circondato dall'amore, non condannato. Si può riconoscere la stella dell'amore che perdona solo quando si è sperimentato tutto il peso angoscioso e opprimente  del peccato. L'amore è un atto di liberazione, più dell'intelligenza. Può fare nuova la storia l'umanità che sposa Dio, non quella che lo ignora e ne rimane lontana.  il don 

giovedì 20 dicembre 2012

per la pace

"Per la pace" : è una raccolta di aforismi di Gandhi. Nell'Introduzione, T. Merton ha delineato il contesto storico, culturale e spirituale in cui si è svolta l'attività pubblica di Gandhi. L'Asia aveva già in qualche modo tradito la sua vocazione spirituale, quando aveva rinunziato a mettere insieme scienza e saggezza, uniformandosi in ciò al modello occidentale, Occidente che aveva scelto di far la guerra a se stesso instaurando una dittatura dello scientismo e dello spettacolo narcisista. Ha scritto Merton che se Gandhi fu ucciso da un indù fondamentalista, ciò lo si può comprendere se si guarda alla distanza che ancora sussisteva tra la sua vita spirituale (che aveva conquistato la pace interiore) ed il movimento indù che aveva al suo interno ancora tante persone che erano per la violenza e la guerra. Un aforisma gandhiano afferma: "Se si vuole combattere il feticcio della forza, si potrà farlo solo ricorrendo a mezzi totalmente differenti da quelli in voga presso i puri adoratori della forza bruta". E mentre condanna la violenza dell'Occidente, afferma ancora in un altro aforisma: "Gesù è stato forse il resistente più attivo che ci tramandi la storia. La sua è la non violenza par excellence". Questo richiamo all'Occidente perchè recuperi la non violenza cristiana ed evangelica, che è stata sempre la forza più grande della Chiesa (non solo di Francesco d'Assisi, ma di tutti i veri cristiani della storia), suona come un invito a vivere la pace e testimoniarla. Se desideriamo avere un "centro della pace", dobbiamo anzitutto trovarlo in noi stessi e poi essere pronti a dare la vita perchè sia un riflesso di Colui che ha detto di sè  "Io sono la Via, la Verità e la Vita".   il don

domenica 9 dicembre 2012

lealtà o sconcerto?

Si dà fiducia ad una persona o ad una causa, quando se n'è provata la lealtà; allora non è più il caso di attardarsi in prove di fedeltà o nell'imbastire piani di sconcerto. Lealtà e sconcerto non possono stare in relazione: la prima crea rapporti sempre più stretti, il secondo invece fa crescere i conflitti. Quando si è sperimentata la lealtà, si può passare subito ad un piano d'azione che consentirebbe di conseguire obiettivi comuni dopo aver deciso insieme il percorso migliore da COMPIERE. 
Tra il cominciamento ed il compimento ci dev'essere sempre un accrescimento, che è una specie di ponte tra la A e la Z. Se la lealtà la si è sperimentata come l'inizio giusto, occorre proseguire approfondendo le relazioni, salvando però insieme alla comunità la libertà di ognuno.
Lo sconcerto può sorprenderci quando ci siamo creati delle attese impossibili, chiedendo troppo a coloro che ci potevano invece dare quel tanto e non più. 
Con lealtà si può sempre concertare. Ma lo sconcerto chi lo crea?
  il don

venerdì 7 dicembre 2012

il desiderio-passione

Il progetto di vita ha il suo motore nel desiderio-passione. Ogni essere umano vorrebbe fare della propria vita un progetto realizzato. Ma quanti lo scoprono e quanti riescono a realizzarlo? La scoperta dipende anzitutto dal desiderio e dalla ricerca. Per realizzare il progetto, poi, il semplice desiderio non basta ; occorre un desiderio raddoppiato, appassionato, che sia disposto a passare attraverso la passione. La dialettica tra eros e pathos costituisce una dinamica psicologica interessantissima, ma ancor più spirituale : nel momento in cui si spinge in profondità sin quasi a toccare l'abisso,l'anima è sollevata verso l'alto, un sublime dove "si può bruciare di felicità". Un fuoco che consuma anche la cenere e lascia vivere solo la fiamma. Ma un progetto di vita individuale, sganciato dalle relazioni umane, dal fare amicizia e comunità, rischierebbe di divenire entropico, destinato a vedere subito la morte, e una morte dannata, senza compagnia. Ogni progetto ha sempre bisogno di un'approvazione, di una condivisione, non tanto di una promozione. C'è l'altro che deve condividere e il desiderio e la passione. Allora il progetto perde l'interiorità individualistica e diviene progetto comune. E' per questo che ciò che io dono, non dev'essere più me stesso, ma l'altro, anzi tutti gli altri. Se nel dono ci sono tutti gli altri, la realizzazione finale è l'unica Anima, ossia "Dio tutto in tutti".   il don

domenica 2 dicembre 2012

sapienza e gratitudine

La sapienza è ciò che chiese a Dio il re Salomone, il quale divenne famoso, più che per la ricchezza ed il potere, per la sapienza. E tuttavia nella vecchiaia la perdette, per aver abbandonato il Dio vivente ed essersi volto agli idoli. La sapienza cristiana è dono dello Spirito Santo: Gesù lo ha promesso a chi ascolta la sua voce, e di certo non resterà deluso.
Gratitudine e sapienza sono due realtà collegate : dato che il dono della sapienza consente di non sbagliare, si può e si deve dire grazie per ogni dono ricevuto. Impara a dire grazie colui che sa apprezzare il dono della vita, della salute, del lavoro e dello studio, degli affetti, della fede e dello spirito. La gratitudine verso Dio che colma dei suoi doni si estende anche verso ogni fratello che ci dona quello che può. I santi ci trasmettono la loro esperienza della sapienza e della gratitudine: essi ringraziano Dio anche per la malattia e la persecuzione, sanno perdonare il nemico che li opprime e li tortura, sanno dire come Gesù "Padre perdona perchè non sa quello che fa". L'amore scaccia il giudizio e la vendetta. E' sapienza chiedere a Dio di poter dimenticare il male ricevuto e di saper ritrovare la forza ed il coraggio di volere nuovamente il bene anche del nemico. E' ancora sapienza chiedere a Dio di saper soffrire e offrire.
Nella divina Parola sia dell'Antico che del Nuovo Testamento si trova la sapienza della vita: occorre soltanto provare a vivere ciò che viene chiesto; allora i frutti diverranno abbondanti! Un primo frutto sarà quello di abbandonare il chiacchiericcio e di operare ogni bene a favore del fratello.   il don

giovedì 29 novembre 2012

Simone il mago

Nel capitolo 8 degli Atti degli apostoli ( siamo nel Nuovo Testamento della Bibbia) si narra di un certo Simone il mago, il quale affascinato dai prodigi compiuti dagli apostoli, offrì loro del denaro per avere in dono lo Spirito Santo. Il suo scopo era di far denaro con lo Spirito Santo: aveva pensato che lo Spirito Santo fosse una sorta di strumento magico che consentiva di fare soldi. Il Vangelo, Gesù, lo Spirito Santo, la stessa Chiesa: tutto ciò non può essere utilizzato a proprio uso e consumo, o per uno scopo d'interesse. Ciò che Gesù e lo Spirito Santo danno, come il Vangelo insegna, è qualcosa di gratuito. L'opera della chiesa, che continua l'opera di Gesù, nello Spirito Santo, non può essere diversa da quella del suo Signore: perciò la chiesa opera gratuitamente, senza scopo di lucro, guardando e aiutando sopratutto gli ultimi, i più poveri, quelli che nessuno considera o raccomanda. Simone il mago pensava di diventare ricco con il dono dello Spirito Santo e perciò perse l'anima. E' vero che il Vangelo promette il centuplo in questa vita a coloro che seguono la divina Parola, ma afferma anche di non accumulare beni per averne sicurezza. La cosa più difficile, e perciò anche più meritoria quando si riesce a viverla, è la comunione spirituale che è la condizione necessaria di quella materiale. Nelle relazioni tra le persone, come nella relazione con Dio, conta più l'accoglienza sincera, la pazienza, la mitezza e l'accettazione delle umiliazioni, il saper guardare con occhi nuovi, dimenticare le offese ricevute o i guai subiti, piuttosto che il regalo materiale che non costa altro se non qualcosa di molto esterno. La vita mostra, alla fine o anche nel mezzo del percorso, che l'investimento più  grande, quello che produce risultati più duraturi e più efficaci, lo si trova nelle relazioni : il tempo che si dona per farle più autentiche, la fatica che s'impiega per la comunicazione, lo sforzo per rinnovarle. Quando ci si rimette in gioco per Dio, lo Spirito Santo dona più di un guadagno soltanto materiale. Anche tu puoi donare ciò che lo Spirito Santo t'ispira: riceverai molto, molto di più che se avessi chiesto soltanto un bene materiale.  La sapienza, che è dono dello Spirito, vale molto di più della ricchezza, del potere, dell'immagine, ecc.   
  il don

domenica 25 novembre 2012

polifonia - coro - volo

"Il ritmo dei passi ci accompagnerà....": così  una canzone scout accompagna il cammino. Murrey Schafer, in "Il paesaggio sonoro", recita: "Talora il ritmo dei passi può essere una protesta contro i tempi predominanti di una società" (citato da Henderson in "Il velo sottile. Il mistero della musica"). Ma è proprio sulla polifonia, cioè sul coro, combinazione e non miscuglio di voci, che la Henderson dice questa cosa importante: "grazie all'ascolto reciproco s'innesca una reazione a catena tra le voci fino a formare una grande voce con un unico timbro: il coro". In chimica, la combinazione indica la fusione di elementi diversi che danno vita ad un composto nuovo; invece il miscuglio lascia gli elementi così come sono. Continuando a leggere "Il velo sottile. Il mistero della musica" della Henderson si può notare il passaggio dal piano musicale al piano spirituale: "Il risultato (corale) dipende dalla riuscita di questo gioco che è un dare e ricevere, un continuo essere e non-essere, dove la musica è il veicolo che rende possibile quest'esperienza". Il coro polifonico rompe la SOLITUDINE del solista, CHE NON è SOLO DI COLUI CHE CANTA MA ANCHE DELLA MASSA CHE ASCOLTA, e apre un ascolto del silenzio che diviene ascolto dell'altro. Il coro dev'essere capace del volo, quando un qualche muro del suono ha bloccato il percorso comunitario, facendo saltare anche il ponte costruito per il passaggio. Ci accompagnerà solo il ritmo dei passi, o anche la melodia e l'armonia che insieme al ritmo formano la combinazione del coro polifonico?    il don 

venerdì 23 novembre 2012

musica - arte - interiorità

La musica si può ritenere la più interiore delle arti, dal momento che è tesa sopratutto all'ascolto ed è capace più di altre arti di suscitare un risveglio interiore. Ha scritto M.T. Henderson, nel suo saggio "Il velo sottile. Il mistero della musica" : "La musica ha la potenzialità di costruire nell'interiorità della persona uno spazio di ascolto dell'ineffabile". L'esperienza del risveglio interiore è fondamentale per ricreare relazioni fondate sull'amore piuttosto che sul conflitto. Dalla musica si può imparare come rifare unità tra interiore ed esteriore. Lo dice in termini musicali il violinista Y. Menuhin: "il ritmo impone unanimità sui divergenti, la melodia impone continuità sui disgiunto, e l'armonia impone compatibilità sull'incongruente" (citato dalla Henderson, in "Il velo sottile. Il mistero della musica"). L'esperienza spirituale profonda comincia, e ricomincia, sempre dal vuoto, dal nulla di sè, per far posto all'altro (Dio e anche l'uomo). Che cosa fa il silenzio? Accoglie il suono! Cosa fa il Padre, che è l'Amante? Dà la Vita al Figlio, che è l'Amato! Qual'è la condizione di possibilità della relazione tra Padre e Figlio? Lo Spirito, che è l'Amore! Se la musica creasse conflitti, sarebbe diabolica. Se invece fa crescere la relazione d'amore, è la portatrice dell'ineffabile, il divino! Se la musica trasmettesse l'effimero, rimarrebbe merce di consumo; se invece ricrea legami, rilancia il mecenatismo dell'arte (architettura, scultura, pittura...insomma un nuovo Rinascimento, questa volta non solo italiano, ma europeo). Forse possiamo aspettarci dal "volo" della musica che ridia la speranza di una filosofia nuova, una filosofia-sapienza, capace di allontanare il fantasma di una paventata " dittatura della sophia",  che nel secolo scorso molti hanno combattuto, ma senza ragione.  Se il movente dell'ascolto è l'amore dell'altro e l'accoglienza del diverso, allora si può prevedere con certezza un rilancio dell'azione e dell'interazione. Quando si torna all'interno in maniera autentica, subito ci si butta fuori verso l'altro,  in un reciproco donarsi che elimina il dominio.  il don  

mercoledì 21 novembre 2012

psicologia e spiritualità

S. Freud non ha conosciuto mistici ed esperienze mistiche; C.G. Jung era figlio di un pastore riformato, ma questi non era in grado di discutere col figlio intorno alla fede e al mistero cristiano; C. Rogers aveva studiato teologia per diventare pastore, ma subito l'abbandonò per la psicologia umanistica, nella quale divenne un esperto mondiale. Si potrebbe continuare con altri esempi; e si potrebbe avere l'impressione, peraltro non infondata, che la cura d'anima dello psicologo tenda a prendere il posto della cura d'anima dello spirituale. Come stanno le cose? Dio si è stancato di formare guide spirituali oppure ha voluto creare una specie di concorrenza tra lo psicologo e la guida spirituale? La cosa è molto più complessa e anche più semplice di quanto appaia. La crescita dell'umanesimo non è in opposizione alla vita cristiana autentica. Allora bisogna proprio dire che lo sviluppo della psicologia non crea fastidi alla vita di fede e di carità cristiana. Lo Spirito Santo fa crescere i sensi spirituali del credente sia nella sanità psicologica sia nella malattia psichica.La fede cresce se si ama; la si perde se si fa soltanto ciò che piace. L'esperienza spirituale è mediata dalla cultura, ma spesso la supera: lo Spirito Santo, che è guida nell'esperienza di fede e di amore, crea nell'anima e nelle relazioni tra persone un ambiente divino di libertà e di gioia che supera il "patire" più crudo. Un esempio: nel Seicento francese, il padre Surin, un gesuita, "grande mistico nonostante lunghi anni di malattia mentale", ha lasciato un racconto dell'esperienza spirituale di lotta contro il demonio da lui sostenuta per togliere alle suore di Loudun la possessione diabolica. Quelle suore in convento conducevano vita esemplare; in pubblico dicevano cose strane e compivano gesti insensati. Michel de Certeau, uno storico appassionato di mistica, ha curato la Corrispondenza che Surin ha intrattenuto con quelle suore. La psicologia non va nè combattuta nè esorcizzata, e neppure va considerata concorrente della "confessione sacramentale"; anzi va scoperta come scienza utile e necessaria alla guida spirituale. Ormai sappiamo dire con chiarezza la differenza tra i sensi di colpa che la psicologia individua e può guarire in quanto malattie della psiche, ed i peccati che sono invece malattie dello spirito e vanno curati con la grazia dello Spirito Santo. Il Vangelo ci aiuta a comprendere come le guarigioni spirituali operate da Gesù manifestino una certa diversità d'influenza esercitata dal demonio. In alcuni casi la possessione diabolica è manifesta: lì Gesù fa col demonio un corpo a corpo per scacciarlo. In altri casi, il demonio si nasconde, quando induce le persone ad agire secondo il mondo (secondo  la massa) creando l'illusione che quel comportamento condiviso da tanti è pur lecito. Zaccheo vince il demonio ed il mondo quando all'avidità sostituisce il dono. Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, si mette a seguire Gesù infiammata dalla sua Parola, e non viene più molestata dal diavolo. Il buon ladrone, sulla croce, ruba il Paradiso, facendo ricorso a quell'esperienza di vita e a quel lavoro in cui era esperto. Conclusione: ci sono malattie dello spirito che la psicologia non può guarire. Questo dovrebbero saperlo gli psicologi: essi non dovrebbero più presumere di operare ogni guarigione. Questo è per loro un momento di umiltà; come momento di umiltà c'è stato anche per le guide spirituali, condotte dallo Spirito Santo a non presumere eccessivamente della dottrina acquisita ma a porsi di continuo sotto la guida divina. Ora si potrebbe aprire una feconda collaborazione, che superi la concorrenza, tra psicologi e guide spirituali. Purchè ognuno faccia bene il proprio mestiere e accetti di imparare dall'altro. il don

lunedì 19 novembre 2012

la gioia di essere amati da Dio

Ha scritto Simone Weil: "Elettra è un dramma di Sofocle. E' nello stesso tempo il più oscuro ed il più luminoso di tutti. Vi si vedono la miseria e l'umiliazione schiacciare sotto i loro piedi un essere solo e indifeso; e non sono delle colpe a procurargli una sorte così dura, ma delle virtù, la fedeltà, il coraggio, la forza d'animo. Ma si vede anche, alla fine del dramma, l'arrivo insperato di un fratello che rompe questa solitudine e spezza questa oppressione. Il tutto termina nella gioia più pura. Questa storia di Elettra è fatta per toccare tutti coloro che, nel corso della loro vita, hanno avuto occasione di sapere che cosa significhi essere sventurati. Certo, questa storia è molto antica. Ma la miseria, l'umiliazione, l'ingiustizia, e il sentimento che prova un essere tutto solo, consegnato alla sventura, abbandonato da Dio e dagli uomini, questa cose non sono antiche. Sono di tutti i tempi. Sono cose che la vita infligge tutti i giorni a coloro che non hanno fortuna.". Le gioie illuminano la fine del dramma.
Ma se  anche non ci fosse quella gioia che viene dalla liberazione e dalla fine dell'umiliazione; se anche non s'incontrasse alla fine un pò di simpatia umana; se alla fine restasse soltanto l'abbandono...! Così potrebbe pensare forse soltanto un dio del panteon pagano! Il Dio-Uomo, il Cristo non ha disdegnato nè la vicinanza del buon ladrone sulla croce, nè l'aiuto del cireneo nel suo cammino verso il Calvario. Certo, quando Gesù grida l'abbandono del Padre e al Padre si riabbandona, e dice "è tutto compiuto!", rompe il confine tra dolore e amore. In quel grido, Gesù non pone il dubbio sull'amore del Padre: chiede il perchè, ma non chiude  la relazione d'amore. Anzi apre a tutti la possibilità di fare un'esperienza straordinaria: la gioia di essere e di sentirsi amati da Dio, nonostante tutto e tutti...E Il Padre non si serve del cireneo e del buon ladrone per dire ancora al Figlio il suo amore? La gioia di essere amati imprime la forza e il coraggio di continuare ad amare anche nell'abbandono!  il don

venerdì 16 novembre 2012

la potenza dell'amore

Simone Weil in "Il racconto di Antigone" ha inteso presentare in pochi fotogrammi la tragedia scritta da Sofocle. Si tratta di una guerra tra due fratelli: il primo divenuto re di Tebe deve scontrarsi con il fratello che, dopo aver lasciato la sua città, ritorna  muovendo guerra al re. I due fratelli muoiono entrambi sul campo di battaglia. Lo zio, divenuto re, ordina che il cadavere del defunto re sia sepolto con tutti gli onori, mentre l'altro sia lasciato in pasto agli uccelli rapaci, dal momento che ha mosso guerra alla patria. Antigone, sorella di entrambi, è decisa a compiere un atto di pietà, dando sepoltura al cadavere. Il re s'infuria e decreta anche la morte di Antigone, la quale viene sepolta viva in una caverna, e insieme a lei il promesso sposo. Un indovino predice al re grandi sventure se non libererà quanto prima Antigone. Il re fa aprire la caverna, ma intanto la fanciulla  si è data la morte, per non subire il supplizio di una morte lenta. Il promesso sposo, quando vede Antigone morta, si uccide di fronte al re suo padre. La regina si uccide a sua volta. L'ammonimento di Sofocle: "Le parole altezzose degli uomini superbi si pagano con terribili sventure". Il re ha pagato un grande prezzo per la durezza della sua empietà.  Ma forse  l'insegnamento più grande è questo :  il promesso sposo di Antigone, che dapprima si è lasciato seppelire vivo per amore della futura sposa e poi si è ucciso per non sopravviverle, mostra la potenza dell'amore, considerato più grande della stessa vita.
Simone Weil, che ha saputo guardare sempre più dentro che fuori dell'animo umano, non ha mancato di far vedere la potenza dell'amore.          il don

giovedì 15 novembre 2012

diritto più che tutela

Va detto un grazie alla tutela sul lavoro: la gratitudine non è mai  espressa abbastanza. Ma occorre anche ribadire che non si dovrebbe perdere di vista che il lavoro è un diritto; e se poi è vissuto come un dovere  ed esercitato con passione, allora ne può venire un sicuro beneficio non solo per colui che lo compie ma anche per coloro ai quali è indirizzato. Questo obiettivo o questo fine lo si potrebbe perseguire, allorchè il lavoro non fosse più considerato nel suo aspetto idolatrico, cioè di mero strumento di guadagno e di realizzazione personale. Si scade nell'idealismo, se si difende la dimensione virtuosa del lavoro, cioè la sua pratica di servizio alla comunità? Ma è proprio la perdita degli ideali, ed  è proprio una certa dittatura  dell'utile e della  prassi a creare, ormai da qualche decennio,  uno scadimento nelle relazioni ed uno scivolamento verso il possesso delle cose che sa come di dominio. Il lavoro è qualcosa di più che il semplice mezzo per sostentare la propria vita e quella di qualche altra persona di famiglia. Il lavoro è partecipazione allo sviluppo della creazione (che non è compiuta, ma in via di compimento); è ancora uno strumento privilegiato per cementare la fraternità nella comunità umana. Immagino che dovrebbe essere sempre servizio il lavoro, non solo quello del contadino e dell'operaio, ma anche quello dell'ingegnere e del medico, ... Dico immagino, non per portare il discorso sul fantastico, ma per lasciarne ad ognuno la libertà di scoperta. Perchè è chiaro che solo ciò che si ricerca con passione e si trova con gioia, può essere oggetto di condivisione. Se la tutela sul lavoro è stata necessaria per  garantirne il diritto, in tempi in cui l'egoismo umano l'avrebbe ridotto o depredato; ora è davvero il caso di ridire che esso è un diritto-dovere, che necessita perciò di una più impegnativa formazione, ma che a nessuno potrebbe e dovrebbe esser negato, perchè strettamente legato alla dignità umana. Scienza, tecnologia e politica non hanno ancora risolto il problema; neppure lo potrebbero senza l'etica, che guarda più ai comportamenti che alle parole. Se cresce l'egoismo, le relazioni si sfilacciano; e senza relazioni autentiche, i furbi trovano sempre il modo per servire solo se stessi. il don

domenica 11 novembre 2012

la teoria è anche pratica

Le verità conosciute dall'intelletto sono correlate alle scelte di vita. Newman, universitatis oxoniensis doctor, parlando di Teodoreto vescovo di Cirro, ha messo in relazione la preparazione teologica e le scelte di politica ecclesiastica. Quasi sino alla fine della vita Teodoreto difese Nestorio, patriarca di Costantinopoli e si schierò contro Cirillo di Alessandria ed i vescovi ortodossi. Dal punto di vista teologico, Teodoreto accusò Cirillo di monofisismo (Cristo ha avuto una sola natura) e difese Nestorio che professava la duplice personalità di Cristo. Dice Newman che se Teodoreto avesse studiato teologia per altri dieci anni, invece di diventare vescovo così giovane, avrebbe potuto cogliere meglio cosa ci fosse in gioco nella controversia tra ortodossi ed eretici. Dal punto di vista della politica ecclesiastica, Teodoreto non si era reso conto che i vescovi ortodossi difendevano la verità attraverso la communio e le "litterae communionis", mentre Nestorio ed i vescovi eclettici si appoggiavano all'imperatore e alla corte di Costantinopoli. Solo alla fine della vita, Teodoreto si riconciliò con i vescovi ortodossi orientali e smise di difendere la posizione di Nestorio. Questa lezione di Newman è fondamentale anche per l'oggi: infatti un certo spirito pragmatico, gnostico e pelagiano rischia di togliere forza all'annunzio e alla testimonianza della fede. I cristiani oggi possono esser colti dalla tentazione di credere che la catechesi sia un'appendice della devozione; e gli stessi preti possono esser tentati dall'inutilità dell'approfondimento teologico e spirituale, per affidarsi unicamente all'efficienza (non all'efficacia) del fare. Il discernimento richiede tanto più approfondimento quanto più le questioni dell'anima e dello spirito vengono banalizzate. Teoria e pratica non possono esser disgiunte: la tensione a creare l'unità all'interno della persona può garantire una migliore relazione tra le persone.  il don

sabato 10 novembre 2012

relazioni autentiche contro il consumismo

Sul consumismo occorre intendersi: non si tratta di bloccare l'economia, rinunziando a ciò che serve per vivere (cibo, vestiario, ...); si tratta invece di superare la pressione culturale del tempo che vorrebbe ridurre le relazioni tra le persone a collezioni di cose. Le persone, appunto, non sono cose: sulle persone non si può esercitare il dominio come si farebbe con le cose. Nelle relazioni con le persone occorre esercitare la mitezza (che è l'opposto della violenza), la pazienza (che è l'opposto della fretta), l'umiltà (che è l'opposto dell'orgoglio), il servizio che è l'opposto del dominio. Coltivare le relazioni non si può se non s'impara ogni giorno a rispettare il lavoro dell'altro, i desideri, la personalità e la diversità dell'altro. Coltivare l'incontro richiede la disposizione a perdere tempo ed  energie nell'ascolto dell'altro per poterne riconoscere il valore irrepetibile. Più che fare collezioni d'oggetti, fossero pure tecnologici, bisognerebbe imparare a coltivare relazioni. L'amicizia dura fintanto che durano la fiducia e la lealtà, e nella libertà ci si ritrova a poter parlare di tutto e a comprendersi invece di lasciare libero sfogo al pregiudizio e alla critica disfattista. Il Vangelo racconta di Gesù che fa notare ai discepoli la differenza tra i ricchi che gettano molte monete nel tesoro del tempio e la povera vedova che getta pochi spiccioli ma era tutto quanto possedeva (Marco 12,38-44) per vivere. Le relazioni autentiche, sia quelle con Dio sia quelle con gli uomini, non si giocano mai sulle apparenze (il giudizio paralizza la crescita, ogni espressione di crescita); solo quando si comunica con l'anima, con l'interiorità della persona, si perviene all'incontro. il don

venerdì 9 novembre 2012

dare la vita

Dare la vita è vincere quel desiderio di dominio sull'altro che è la morte di ogni relazione. L'egocentrismo, il narcisismo, l'egoismo, in una parola il culto dell'io è la malattia che conduce alla morte. Come vincere questa malattia mortale? Se la meditazione sviluppa la capacità di autocoscienza e la scoperta  della propria interiorità  ( e l'io autentico diviene capace di mobilitarsi contro l'io falso ); l'azione invece mobilita l'energia per promuovere la relazione autentica con l'altro. Meditazione e azione, in sinergia, possono dar vita alla comunità. Il problema umano e spirituale di fronte al quale ci troviamo oggi non è tanto quello della sopravvivenza (come è stato nel periodo post-bellico); è piuttosto quello del riconoscimento dell'altro (riconoscere l'altro come diverso da me). Se invece di porre l'accento sull'io, spingo l'attenzione sulla relazione, allora riesco ad abbattere i muri e a costruire ponti. Leggendo e meditando il Vangelo si scopre subito, nelle parole e nei fatti di Gesù, che Egli non è mai ripiegato su se stesso: o prega (allora si sta occupando della relazione col Padre) oppure agisce (guarisce ammalati con i gesti e con le parole). Vivere l'umano (e ancor più il divino) è questo uscire fuori da se stessi (per non rimanere egocentrici) e muovere verso l'altro (per rifare ogni giorno la comunità). La sapienza di vivere la si impara dall'esperienza: mai pretendere, sempre dare o qualcosa di materiale o qualcosa di spirituale. Il dono spirituale è molto spesso più necessario di quello materiale, sia per chi dona sia per chi riceve il dono.   il don

martedì 6 novembre 2012

coraggio, ma senza montarsi la testa.

"Vi ho dato coraggio, ma non montatevi la testa. Il Vangelo non si finisce mai d'impararlo: i cristiani autentici fanno formazione permanente sino alla morte. Son venuto tra voi disarmato e inerme, rischiando di prendere tutti i colpi; ma non può dire di aver fatto di più colui che veniva protetto dal gruppo e aveva preordinato un controllo artificiale. Dare la vita vale di più quanto più grande è il rischio: si può dire di aver dato soltanto, quando non si è preso o preteso nulla. Dico ancora sulle virtù umane: lealtà, pazienza, sincerità, fiducia, onestà; perchè più impegno e distacco chiedono le virtù divine: fede,  generosità, perdono, amore senza condizioni. Azzardo a fare una previsione: prossimamente l'amicizia sarà messa alla prova!".  ( dal diario di un povero ingenuo).   il don

lunedì 5 novembre 2012

il genere femminile: un metodo di ricerca

Il mio libro sulla donna, scritto anni fa, intendeva mettere in guardia rispetto alla omologazione in atto tra maschile e femminile. Avevo inteso sottolineare lo specifico della donna, che potrebbe introdurre cambiamenti decisivi nel campo dell'economia, della politica, del diritto, della cultura..., come è stato decisivo l'apporto nell'ambito familiare. La donna, come è noto, ha più capacità di amare e di soffrire rispetto all'uomo; la sua maggiore capacità oblativa ha molto spesso salvato l'unità della famiglia. Avevo intravisto il pericolo contemporaneo nel livellamento dei generi maschile e femminile, nella perdita dell'identità femminile, nell'imitazione del maschio da parte della donna. Se la donna diviene più egoista e più egocentrica, più desiderosa di dominare e di opprimere, è chiaro che aumentano i conflitti e le divisioni. Non che la donna debba rassegnarsi al dominio maschile; al contrario, deve diventare protagonista, piuttosto che rimanere subordinata al maschio. Le scelte di vita sono come la scelta di un libro. Quando c'è inflazione di libri e di messaggi, occorre saper scegliere il libro più utile e più profondo, quello in cui l'autore cerca la relazione autentica col lettore. Il movimento gay ha ulteriormente confuso la relazione tra maschio e femmina, ha creato coi suoi messaggi una più grande omologazione. Quando anni fa nel seminario teologico di Vienna, quello in cui si formavano i futuri sacerdoti, era scoppiato lo scandalo dell'omosessualità, una delle prime cose buone che venne decisa fu l'introduzione della figura femminile, una psicologia, un'accompagnatrice nell'esperienza umano-divina. L'amicizia tra uomo e donna può davvero arricchire il mondo affettivo ed esperienziale di entrambi. Il carteggio tra Teilhard de Chardin e Leontine Zanta è una conferma. Il libro di Raissa Maritain "I grandi amici" mostra una penetrazione spirituale femminile molto diversa da quella di suo marito Jacques: anche sugli uomini Raissa riesce a dire cose che  gli uomini non sono riusciti a cogliere. Gli scritti di Simone Weil sulla scienza e sul lavoro di fabbrica sono serviti  al sindacato e agli operatori sociali, non solo al mondo della cultura. Se la donna diverrà protagonista, non più subordinata , a cominciare dalla sua presenza in ambito religioso, come lo è stata per un lungo tempo nella chiesa, noi potremo sperare in un vissuto religioso più coerente al messaggio evangelico, in una catechesi meno astratta e nozionistica, in relazioni meno conflittuali e maggiormente impregnati d'amore, in una capacità di più grande comprensione del Dio-Uomo crocifisso e abbandonato, che ha capovolto il dominio in servizio divino.   il don 

domenica 4 novembre 2012

Adesso grazie a Rondine Allegra

Eri il mio medico, ma parlavamo anche di scautismo, che io seguivo con attenzione soprattutto attraverso le esperienze che tu mi comunicavi. L'incontro di Roma alle catacombe non ha avuto nulla di forzato: dapprima la celebrazione eucaristica in una piccola chiesa a nostra misura, poi la visita nei luoghi di sepoltura dei cristiani, con un'attenzione particolare all'arte e alla storia dei martiri della fede. I ragazzi sono rimasti contenti, e insieme a loro la comunità-capi. Io rimango in debito, in modo particolare col gruppo dei rovers, ai quali devo offrire un gelato, alla prossima occasione, per il fatto che il rapporto che si è creato con loro è stato più invisibile che visibile, e partendo dalle battute e da una prima notte passata a chiacchierare, è finita poi la seconda notte in un ascolto silenzioso e attento all'altro, del quale devo ringraziarli. Mi pare di capire che il lavoro da te compiuto in tanti anni, cominci a portare dei buoni frutti, dal momento che ci sono ancora adulti e giovani entusiasti di portare avanti un progetto educativo, che richiede fiducia e libertà nella crescita della comunità, e nello stesso tempo rispetto attento dei tempi di crescita di ogni persona. La pazienza che si vorrebbe ricevere dall'altro, occorre chiederla prima a se stessi; così  la comprensione rende più prossimi, al posto del giudizio che invece offende e porta l'altro alla chiusura in se stesso. La comunità-capi è stata attenta e generosa; ed i simpatizzanti, discreti e fattivi.  Io sono ancora vivo, anzi sono uscito sano e salvo dalla fossa dei leoni, come il profeta Daniele, che non mancò di ringraziare, dopo Dio, anche il re Dario che ve lo aveva rinchiuso dentro. Dare fiducia e rispettare i tempi di crescita non è mai invano!  il don

Come Daniele nella fossa dei leoni

Lo scautismo di Mesagne a Roma: una visita alle catacombe. Un incontro con una pagina della storia della fede cristiana; un'esperienza di comunità senza frontiere tra generazioni (eravamo bambini,  ragazzi, adulti e famiglie). Sono stato come Daniele nella fossa dei leoni : il libro di Daniele dell'Antico Testamento racconta che il profeta Daniele, essendo stato fatto rinchiudere dal re Dario nella fossa dei leoni, poichè non aveva voluto adorare la statua d'oro, il mattino seguente uscì dalla fossa vivo, i leoni non lo avevano toccato. Anch'io ne sono uscito sano e salvo: i ragazzi in realtà hanno mostrato di essere dei leoncini, non dei leoni affamati. Cosa dire? Che l'amicizia nasce dall'ascolto e dall'attenzione ad ognuno; e che quando ognuno è messo a proprio agio, senza che si senta giudicato, allora dà il meglio di sè. In secondo luogo, che l'interiore  comunica a livello profondo tra le persone e genera un nuovo modo di sentire e di agire. L'esperienza è stata molto semplice ma profonda : se all'inizio, ognuno era più se stesso che l'altro, alla fine era divenuto più l'altro che se stesso. La comunità al posto dell'individuo, ma senza che ogni persona venisse umiliata o declassata. Un pò di arte, un pò di storia ci hanno comunicato un pò più di fede. E la comunità ci appare ora meno astratta! Buona caccia e buona strada! il don

venerdì 2 novembre 2012

La morte è vita

La morte è soltanto un momento della vita: s'impara a vivere, morendo ogni giorno ad un progetto che può far soffrire un fratello, morendo ad una propria iniziativa tesa ad affermare il proprio io, morendo al desiderio di certezze e di controllo sulla propria vita e su quella altrui. Se si riscopre ogni giorno che la vita e la morte sono un unico mistero, ci si ritrova a rischiare, come l'innamorato che s'avventura in un'esperienza d'amore e non chiede altro se non di far vivere l'amore. Tutti i calcoli che facciamo, tutte le sicurezze che cerchiamo, tutte le vittorie che esibiamo, non sono cose degne della vita. Chi accetta umilmente la morte, non ha più paura di essa e trova il coraggio di iniziare un nuovo cammino, fidando solo nella forza dell'amore. La visita ai defunti è un atto di umiltà di fronte alla morte, di fronte al fatto che siamo mortali; è un atto di fede nello spirito che non si rassegna di fronte alla corruzione del corpo; è un atto d'amore nelle relazioni che non vorremmo finissero. Entrare nel mistero è voler fare esperienza che  dal visibile ci si può inoltrare nell'invisibile, che il mondo interiore è molto più ricco e appassionante di quello esteriore. Il vile interesse uccide le relazioni familiari, rende nemici gli amici, innesca una catena di sofferenze, consegna la persona umana (quella propria e l'altrui) all'angoscia della morte. S'impara a vivere e a morire, amando. Si vince quando si sa perdere; si vive quando s'impara a morire. E' troppo poco portare fiori e lumini ai defunti : il dono materiale dice sempre l'incapacità di donare qualcosa di più. Insieme al dono materiale, va donato sempre un di più d'amore, va chiesto perdono per aver fatto soffrire e per aver dato forse la morte al posto della vita.  il don

giovedì 1 novembre 2012

La crescita

Camminando insieme, ci si migliora. La formazione nello scautismo fa leva sull'incontro con l'altro. Anche dal lato religioso, non usa le immaginette (li santilli) come fattore di crescita; piuttosto si cimenta nella riflessione, nella discussione, nel confronto, per giungere all'incontro con l'altro, con il diverso. Si cimenta nel fare esperienza: non prende le cose passivamente, non le subisce, ma intende conoscerle e viverle responsabilmente. Questa esperienza di comunità è salutare per combattere l'individualismo. Ora che siamo in viaggio per scoprire  la vera fede, non la diamo per scontata, ma vogliamo impararla da coloro che di essa sono stati campioni. Ora che ci rimettiamo in viaggio per scoprire cosa sia l'amore, da coloro che hanno dato la vita vogliamo scoprirne il segreto. Si è più pronti a fare queste scoperte, quando si sono coltivate le virtù dello scautismo: la lealtà, la generosità, l'apertura al diverso, l'attenzione al compimento dell'azione che si sta compiendo. Tra il cominciamento (l'inizio) ed il compimento (la realizzazione) sta l'accrescimento : si comincia, avendo un progetto da realizzare; si lavora per la crescita, sino a che non si giunga al compimento. Ci si rimette in gioco, si affronta il rischio del viaggio, per imparare a vivere insieme ciò che ancora non si conosce.. Ci si dispone alla fatica del viaggio per scoprire qualcosa di grande che ripaghi di quella fatica: a Roma ci attende l'incontro con chi ha saputo creare una storia di fede e di arte, una storia sempre in crescita, nonostante i limiti e gli errori. Buona strada! il don
 

mercoledì 31 ottobre 2012

Viaggio alle catacombe

Questo viaggio alle catacombe di Roma non può non iniziare con una dedica a Rondine Allegra. Con lui era nata questa iniziativa. Si ricomincia a "fare strada", cercando nell'incontro con questi cristiani dei primi secoli la passione di vivere per un ideale grande e del volersi bene che il mondo non conosce. Le catacombe di s. Callisto e di s. Sebastiano sono sulla via Appia antica, la "regina viarum", la più antica autostrada, costruita intorno al 300 a.C. dall'ingegnere Appio Claudio, autore anche dell'acquedotto romano che porta il suo nome. Intorno al 190, l'Appia antica ha raggiunto Brindisi, dopo aver collegato a Roma, Capua, Benevento,  Venosa e Taranto. Qualche notizia storica sulle catacombe: intorno al 200 d.C. papa Zefirino  incarica il diacono Callisto di curare la manutenzione del primo cimitero cristiano. Queste sepolture sotterranee erano fuori delle mura della città, come stabilito già nel V° secolo a.C. dalla legge delle XII Tavole. Intorno al 300 papa Damaso cerca di recuperare le tombe dei martiri con lo scopo di diffondere la venerazione per gli eroi della fede; ma nelle catacombe erano sepolti anche cristiani deceduti di morte naturale. Nella prima metà del 400, Roma viene saccheggiata prima dai Goti e poi dai Vandali; i cimiteri non vennero toccati, ma iniziò ugualmente un periodo di abbandono. La fede, l'arte e la storia a  Roma sono di casa. New York è una città tutta moderna; Parigi fu fondata dai Romani, dopo che le legioni erano giunte in Gallia; Londra conserva vestigia medievali, ma quasi niente di antico. Roma conserva almeno 2500 anni di storia e di arte:  quando l'impero iniziò il declino, la città eterna trovò nel cristianesimo il proprio futuro, fece una scelta che le consentì non solo di sopravvivere ma di continuare ad essere una protagonista in Europa e nel mondo. Alla potenza delle legioni e del commercio, subentrò la progettazione culturale e spirituale, e ciò la fece nuovamente grande. Noi facciamo ancora parte di questa storia che ci proietta nel futuro. il don

martedì 30 ottobre 2012

Sulla meditazione

Sull'importanza della meditazione, per la crescita personale e relazionale, convergono spiritualità e filosofia. Imparare a fare il vuoto è ciò che i filosofi stoici e poi Husserl hanno indicato come "epochè" (sospensione di giudizio), disfarsi delle idee. M. Montanari, in "La filosofia come cura", riporta questa comunicazione di un maestro zen sulla meditazione:"La meditazione investiga, esplora, svela e illumina ciò che è nascosto dentro di noi e attorno a noi. E' un'espereinza contemplativa, introspettiva, che ci aiuta a risvegliarci dai sogni e dalle illusioni sulle cose...Grazie alla meditazione possiamo partecipare direttamente alle nostre esperienze in modo più intimo e immediato, riuscendo ad avere un approccio semplice ed un rapporto più profondo e più autentico con la vita". La meditazione fa crescere la consapevolezza e l'autocoscienza: smaschera le idee fondate sulla paura, i tentativi di fuga dalla realtà, le illusioni che rincorriamo; in positivo aiuta ad agire sui pensieri e sulle emozioni. Un altro maestro tibetano insegna l'arte di vivere felici attraverso la meditazione, che "è proprio come il vivere ed il morire: nessuno può prepararti all'evento, impari mentre vai avanti. Tutto ciò che ti serve è il coraggio di iniziare" (citato da Montanari in La filosofia come cura, 52). Thomas Merton, che pure coltivava il dialogo col buddismo, raccomandava ai cristiani la meditazione, per diventare più consapevoli della propria esistenza, per liberarsi dal conformismo dei modelli dominanti, per non lasciarsi dominare dal consumismo che riduce a cose i rapporti tra le persone. Per il cristiano, la meditazione sul Vangelo è una continua sfida a fidarsi della Parola di Gesù, a non mettere il dubbio su di essa, a sperimentare la trasformazione interiore e relazionale che Essa produce. Con la meditazione quotidiana s'impara anche a rendere più autentiche le relazioni tra persone: l'ascolto profondo dell'altro e la comunicazione di un vissuto spirituale; l'uno e l'altra preparano il "vivere insieme" ed il progettare insieme. La meditazione è il cominciamento di un viaggio, non la sua fine.  il don

lunedì 29 ottobre 2012

esperienza e testimonianza

Sull'esperienza non si può barare: per essere valida dev'essere accompagnata dalla testimonianza. Il tedesco ha due termini per dire esperienza: il primo è Erfarung (esperienza in genere); il secondo è Erlebnis (esperienza spirituale). Se per la prima espressione di esperienza può bastare una testimonianza esteriore o di una singola persona o della comunità; per la seconda, oltre alla testimonianza esteriore, occorre anche quella interiore. Il termine col quale il greco dice la testimonianza è "marturia", che in italiano ha dato vita al termine "martirio", cioè "dare la vita". In un certo senso si potrebbe dire che non c'è martirio, ossia dono della vita, se interiore ed esteriore non abbiano fatto un tuttt'uno. L'esperienza spirituale non può non essere trasparente: in questo sta la sua autenticità, rispetto all'esperienza in genere che può essere anche inautentica, e molto spesso lo è, per il fatto che fa conto più dell'esteriore che dell'unità tra il "vivere dentro" e il vivere fuori. L'esperienza comune utilizza molto il pregiudizio: perciò il confronto con altre esperienze finisce spesso nel conflitto, nel non-incontro. L'esperienza spirituale fa leva sulla pre-comprensione: perciò suscita la compassione.
L'esperienza ha acquistato sempre più rilevanza in filosofia, nella spiritualità (grazie ai mistici, soprattutto), un pò in tutte le scienze umane (psicologia, sociologia, ...). Nella vita cristiana si parla sempre più di : esperienza di preghiera, esperienza di comunità, esperienza della Parola, esperienza di Dio. Naturalmente l'autenticità di un'esperienza dev'essere verificata: la testimonianza dice l'effetto prodotto dall'esperienza. La pressione culturale che il nostro tempo esercita sulle persone è data dall'eccessiva importanza che assegna all'esteriore: l'effetto immediato, l'effetto che fa presa, l'effetto visibile; non importa poi se questo effetto crea conformismo, aggressività, violenza nelle relazioni. La cura dell'interiorità spazia sui tempi lunghi e chiede: lealtà, mitezza, unità della persona per giungere all'unità tra le persone. Quando l'interiorità cresce in profondità e in altezza, allora può testimoniare dell'autenticità dell'esperienza. il don

sabato 27 ottobre 2012

l'atto di guerra e l'atto di fede...

Una cosa è l'atto di fede; un'altra cosa è l'atto politico; un'altra cosa ancora è l'atto morale. Per comprendere, ecco un esempio. Nel secolo scorso, quando scienziati ebrei, come Einstein, Fermi, ecc. si rifugiarono negli Stati Uniti, per la persecuzione che in Europa imperversava contro gli ebrei, e costruirono la bomba atomica su richiesta del governo americano, compirono un atto politico, si può dire, di legittima difesa, ma dal punto di vista morale commisero una colpa, che avrebbe gravato perennemente sul futuro dell'umanità. Heisemberg e gli scienziati tedeschi a Lipsia continuarono a lavorare, intorno al progetto "uranio", ma orientando la ricerca nella costruzione della pila atomica, non della bomba atomica. Questi ultimi riuscirono a creare una convergenza tra atto morale e atto politico: sarebbe stato un suicidio dell'umanità consegnare a Hitler la bomba atomica; perciò la loro ricerca fu più lunga ed elaborata di quella dei colleghi americani. Che cosa creò, negli scienziati americani, la divergenza tra atto morale e atto politico? La perdita della fiducia, potremmo anche dire, la mancanza di fede. Poichè l'atto di fede, o della fede-fiducia, non dovrebbe mai porre il dubbio sul legame d'amore che unisce tutti gli esseri umani; come l'atto di fede in Dio non può mai dubitare della sua Parola. Inoltre occorre dire che la difesa, sia pure quella legittima, sarà sempre qualcosa di meno di quell'atto di fede che diviene atto d'amore nel "dare la vita" all'altro, invece di toglierla. Heisemberg e gli scienziati tedeschi rischiarono la sconfitta del proprio paese, ma non vennero meno al doppio principio di lealtà verso la comunità scientifica internazionale e verso l'umanità. In un certo senso ottennero la ricompensa, perchè la bomba atomica non fu usata dal governo americano contro la Germania. L'atto di fede è sempre anche un atto d'amore : e alla richiesta di pace risponde con la pace. L'atto di guerra è sempre una mancanza di fede e d'amore: ciò che provoca è lo scompiglio nelle relazioni. Fidarsi della Parola non è solo fare del bene all'altro; è fare anche il proprio bene. il don
 
 

domenica 21 ottobre 2012

dalla cura dell'anima alla consulenza filosofica

La "Consolatio philosophiae" di Boezio è dei primi decenni del VI° secolo: la filosofia è vista come cura dell'anima, cioè intende curarne la malattia. Non ci si accontenta di parlare di quelle malattie che possono essere guarite con le erbe. Si parla quì di quella malattia mortale, che per essere guarita ha bisogno di una cura radicale. Si deve scegliere tra il "regno di Dio" e il regno di questo mondo. Agostino aveva narrato in precedenza, nelle "Confessioni",  l'esperienza del retore Vittorino, maestro a Roma di molti illustri senatori, il quale tergiversava nel fare la sua pubblica "confessio fidei"; il presbitero Simpliciano lo incalzava con pazienza, ma senza fargli violenza o pressione, sino a quando Vittorino decise di riconoscere pubblicamente "il regno di Dio" superiore al regno di questo mondo. La fede cristiana è la scelta della patria: guarisce perciò  la malattia mortale, che è proprio il vivere per questo mondo. Boezio lo dice molto bene, egli che era stato intellettuale e politico: la felicità in questo mondo è un'illusione. Si trastullino pure nel male coloro che amano questo mondo, ma non avranno mai una felicità duratura, anzi prima o poi ne resteranno delusi.
Interessante è un certo ritorno della filosofia contemporanea alla "pratica filosofica", alla "consulenza", persino ad un uso "terapeutico" della filosofia. Interessante per l'obiettivo che si pone : affrontare i problemi della vita con la conoscenza delle teorie filosofiche; interessante anche per il metodo che segue: nell'incontro personale tra consulente e consultante affrontare problemi personali non risolti, attraverso il richiamo alle domande più ancora che alle risposte che i filosofi hanno posto.  C'è in questo una rivalutazione dell'incontro personale, che trova per esempio un corrispettivo nel campo della pratica spirituale: la riscoperta degli "esercizi spirituali" personalizzati, praticati da s. Ignazio e che alcuni gesuiti stanno riportando in auge con profitto. Montinari parla ai nostri giorni della "filosofia come cura": il che significa  riconoscere che c'è una grave malattia da diagnosticare, per trarne una valida terapia. Dopo che una certa pratica psicoanalitica e psicologica ha dirottato l'anima e la mente sui sensi di colpa, rimuovendo l'esistenza della "colpa ontica", ora possiamo tornare a parlare con Kierkegaard di "malattia mortale". La terapia che il filosofo danese proponeva era molto semplice ma impegnativa: il mondo moderno non ha tanto bisogno di un genio ( ce ne sono troppi di geni che fanno guai) quanto di un testimone. Il genio è troppo spesso un esaltato che fa pagare ad altri il proprio narcisismo (di un Superio fortemente e nascostamente aggressivo; il testimone è sempre un umile operaio che non lavora mai solo per se stesso. il don

sabato 20 ottobre 2012

In dialogo intorno a salvezza e santità

Il libretto di Sergio Quinzio "La sconfitta di Dio" è un' interessante riflessione e ancor di più una profonda meditazione intorno alle promesse di salvezza da parte di Dio. "Il fallimento della salvezza è il fallimento stesso di Dio. Ma la storia di Dio è, fin dalla prima pagina della Bibbia, una storia di sconfitte" (p.39). Vorrei rifare la domanda : è sconfitta di Dio o è sconfitta dell'uomo? Perchè è chiaro che ci troviamo di fronte al mistero, non di fronte all'assurdo, quando parliamo di Dio e anche quando parliamo dell'uomo. Lasciamo a Dio che dica di se stesso chi sia; a noi uomini resta il fatto che non riusciamo a dire con chiarezza e distinzione chi siamo, e perchè siamo e non siamo. Voglio dire che la sconfitta dell'uomo è più evidente di quella di Dio, ammesso che si possa parlare di "una sconfitta di Dio" ( per esserne certi dovremmo interrogarlo in che cosa consista la sconfitta o la vittoria). Il fallimento di Dio, dice Sergio Quinzio, sarebbe nella sua colpa: aver creato un mondo ingiusto e non aver saputo liberare la storia umana dal male dell'ingiustizia. La colpa dell'uomo sarebbe meno grave di quella di Dio, dal momento che ha ricevuto un mondo limitato e ingiusto e nella storia non ha saputo porvi rimedio se non in piccola misura.
Proporrei di distinguere tra salvezza (creazione-redenzione) che appartiene a Dio (è una sua prerogativa) e la santità (che è il fine dell'uomo). Dice Quinzio che Dio mostra di essere debole, più che onnipotente: Egli fallisce quando si mostra buono, invece appare onnipotente  quando utilizza la violenza e la distruzione. La "mancata venuta del regno di Dio" a cosa sarebbe dovuta? Alla mancanza della sua onnipotenza oppure alla sua estrema bontà che lascia l'uomo libero  di divenire pio o di rimanere non pio? E' chiaro che la questione della santità si mostra più urgente e prioritaria rispetto alla salvezza: Dio non può salvare se non l'uomo non diviene santo. Il peccato dell'uomo è ancora al centro della questione della salvezza. La sconfitta dell'uomo sta ancora nel suo peccato, poichè egli è incapace di vincerlo. Senza la Grazia, egli continuerebbe ad essere Pelagio, non diverrebbe mai Agostino: il "doctor gratiae" divenne tale quando cominciò a vivere e a comprendere la differenza tra la virtù naturale e la virtù teologale. Dio salva la persona, la storia e la comunità quando l'essere umano intraprende un percorso di santità. Dio indica le regole e offre l'orientamento; all'uomo viene chiesto di abbandonarsi al suo amore piuttosto che fermarsi al proprio giudizio e al ragionamento, giusto o ingiusto che sia. Giobbe ha ricevuto da Dio la salvezza perchè giusto (come Dio stesso ha detto). Ma andiamo al Vangelo: Zaccheo, il ladro pentito ("due volte ladro", dirà Agostino), la samaritana, la donna adultera, ricevono la salvezza da peccatori, non da giusti.  Quando si ragiona o quando si ascolta la propria coscienza,  bisognerebbe saper discernere chi è che parla: Dio o Satana. Perchè Satana è l'ingannatore e l'accusatore; Dio è il difensore ed il rivelatore della verità all'uomo. Non bisogna sottovalutare la potenza di Satana : è meno di Dio, poichè non è come Dio onnipotente; ma è più dell'uomo, poichè è spirito di luce (Lucifero). Siamo ancora nel libro di Giobbe. Se avanziamo verso Gesù ed il Vangelo, scopriamo una relazione del tutto nuova tra peccato e grazia: non è più richiesta la giustizia rispetto alla legge, ma il riconoscimento del peccato che viene sanato dall'amore di Dio. Il regno di Dio non può venire sulla terra (non possiamo essere impazienti nell'attesa) senza che da parte dell'umanità ci sia una tensione a rendere santa la vita,  la storia e la comunità. Il destino dell'essere umano è legato al destino di Dio: o si vince insieme o insieme si perde!   il don

giovedì 18 ottobre 2012

Vangelo e storia

Martino, nato in Pannonia intorno al 316, eletto vescovo di Tours nel 372. E' stato colui che ha evangelizzato la Gallia. Il suo biografo, Sulpicio Severo, dice che era considerato "un personaggio spregevole, ed era indegno dell'episcopato un uomo dall'aspetto miserando, dal sordido abbigliamento, dalla capigliatura arruffata". Martino era stato dapprima un soldato e poi monaco; aveva fondato e diffuso il monachesimo in Gallia, e volle che anche lì, come altrove, l'istituzione monastica servisse ad un fine dottrinale, cioè fosse la roccaforte in difesa dell'ortodossia. La sua forza era vivere il Vangelo: da soldato aveva condiviso il mantello con un povero, da vescovo si mostrò mite verso i peccatori e gli eretici che si pentivano. Con l'imperatore Massimo, l'usurpatore di Graziano, Martino si mostrò invece forte: chiese e ottenne da Massimo, in una certa misura, la clemenza verso coloro che avevano combattuto a fianco di Graziano. Mentre altri vescovi si erano piegati all'adulazione e all'asservimento dell'usurpatore Massimo, Martino conquistò l'animo del nuovo imperatore più col distacco che altri col servilismo. L'abbazia di Marmoutier, a tre chilometri da Tours, conobbe un'intensa vita culturale, divenendo famosa come centro specializzato nella redazione di manoscritti. Martino aveva compreso che il monachesimo non poteva essere soltanto luogo di pratica evangelica; dal suo interno doveva irradiarsi l'evangelizzazione del mondo circostante. Fu tentato sopratutto dall'adulazione e dalle lusinghe dell'imperatore, ma  attento sempre ad un accurato esame della propria coscienza, mostrò di essere distaccato dal proprio interesse, prodigo di perdono verso i nemici; e pur esponendosi ai colpi con mitezza, non mancò di fermezza nella difesa della verità cristiana. Poveri furono la tavola e l'abbigliamento, ricca la sua sapienza. il don

mercoledì 17 ottobre 2012

Il Cristianesimo devastato dai Vandali

In Oriente la verità cristiana si affermò sull'Arianesimo grazie alla forza della predicazione; in Africa fu estirpata dalla spada dei Vandali; a Roma la vera fede conobbe una continua espansione grazie al martirio di migliaia di cristiani.
Quanto più il destino di una persona si lega al destino della chiesa, tanto più un'energia divina sorregge l'una e l'altra: la promessa del "non prevalebunt" si realizza nella storia della chiesa come nella storia personale di ogni cristiano. 
Così Newman, in "La chiesa dei Padri", narra la fine di Agostino e la fine della chiesa in Africa: "Sebbene i vandali avessero fallito il primo attacco ad Ippona, nel corso dell'ultima malattia di Agostino, lo rinnovarono poco tempo dopo la sua morte in circostanze più favorevoli. Bonifacio (il governatore romano) fu sconfitto sul campo e dovette ritirarsi in Italia; gli abitanti d'Ippona abbandonarono la città. I vandali irruppero e diedero fuoco (alla città), eccezion fatta per la biblioteca di Agostino, che fu provvidenzialmente salvata. La desolazione che a quell'epoca si diffuse in tutta l'Africa fu completata dalla successiva invasione dei saraceni. Le sue cinquecento chiese ora non esistono più.   Ma........non teme la distruzione da parte dei barbari o degli eretici colui la cui fede è destinata a durare per sempre".
A Roma, la capitale dell'impero, la vera fede conobbe una continua  espansione grazie alla testimonianza dei martiri, che non ebbero paura di sacrificare la propria vita per la Parola (il Logos - il Verbum) vivente. Da veri discepoli di Cristo avevano visto il futuro della storia di Roma: mentre l'impero declinava e moriva, una storia nuova si affermava e ne continuava la gloria antica. I cristiani di Roma non disprezzarono il paganesimo delle virtù, la pietà, il coraggio, il diritto, la laboriosità; capirono però che il cristianesimo ne prendeva il posto perchè portava un'energia divina molto più grande. Anche in Africa il cristianesimo tornerà glorioso, quando si spegnerà il risentimento per il colonialismo europeo, e gli africani non si appoggeranno più all'assistenzialismo europeo, ma faranno conto soltanto sulla Parola del Vangelo, come fecero Cipriano, Agostino, Felicita e Perpetua.   il don

La fede-fiducia nella Parola

"Alla Parola soltanto rimango attaccato, come servitore della Parola, ... la onoro, la prediligo e me ne rallegro più di tutte quelle cose insieme di cui la folla è solita rallegrarsi. La rendo partecipe di tutta la mia vita, ne faccio un buon consigliere ed un buon compagno, una guida per la strada che conduce in alto...Grazie alla Parola freno l'ira che trasporta, placo l'invidia che logora, faccio cessare il dolore che incatena il cuore, modero il flusso del piacere, stabilisco una misura all'odio, ma non all'amicizia...
Essa mi rende parco quando ho abbandonza di mezzi e magnanimo quando sono povero; essa mi persuade a correre insieme a colui che procede celermente, a tendere la mano a chi cade, ad essere debole con chi è debole, e a rallegrarmi con chi è forte. Insieme a lei, patria e terra straniera sono la stessa cosa per me...".
Questo brano dell'Orazione VI di Gregorio di Nazianzo potrebbe riassumere il disegno della sua vita: Newman ha detto che sono bastati tre anni, quelli nei quali Gregorio di Nazianzo fu vescovo a Costantinopoli, la metropoli eretica che egli riconquistò all'ortodossia, per esprimere la chiamata per la quale era nato; gli anni che vengono prima e quelli che verranno dopo sono oscuri e nascosti.
La riflessione che s'impone è questa, dice Newman: "in quanto breve tempo gli uomini portino a compimento l'opera che è, per così dire, il fine per il quale sono nati e che contrassegnerà i loro nomi di fronte ai posteri" (Newman, in La Chiesa dei Padri. Profili storici).
Cosa chiede la Parola? Di non essere attaccato ad una poltrona o ad una sedia; di sintirsi libero sempre e a disposizione della Parola; di lasciarsi infuocare dalla Parola, anche quando il peccato ha tentato di spegnere il fuoco; di non cercare il proprio volere e neppure il volere di un altro, fosse pure l'amico, ma soltanto il volere della Parola. Di non porre il dubbio sulla Parola del Vangelo, accettando e condividendo altre parole.
Di quale Parola fidarsi ciecamente? Di quella che dice di "dare la vita". Ora posso dire a Dio: Tu perdonerai il mio peccato, poichè ho provato a "dare la vita" per la tua Parola!         il don
 

mercoledì 10 ottobre 2012

Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur.

"Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur". Il contenuto storico di questa espressione rimanda alla relazione, in quel caso non sincronizzata, tra strategia
politica ( la decisione che doveva esser presa dal Senato di Roma) e strategia militare
(l'esercito  romano che avrebbe dovuto difendere Sagunto). Se dalla lotta militare ci spostiamo sul versante culturale e spirituale, notiamo che è valido lo stesso insegnamento:  per vincere, occorre la tempestività nella decisione,  non di un dittatore
ma dei "patres conscripti", i quali devono sì consultarsi ma subito operare la scelta.
Una strategia vincente sul piano culturale e spirituale richiede alcune condizioni: la situazione sia esaminata in tutta chiarezza e sincerità (nulla venga nascosto, neppure ciò che potrebbe sembrare uno scacco); tutti vengano ascoltati (chi vota pro e chi vota contro) con attenzione, poichè ognuno offre un contributo importante per la conoscenza completa della situazione; la discussione però non dev'essere portata per  le  lunghe, dal momento che una decisione tempestiva può in effetti salvare una situazione critica. Perchè la discussione spesso la si porta per le lunghe? Perchè ognuno difende un  proprio interesse particolare e non intende cedere in nulla. Se la discussione nel Senato di Roma non si fosse protratta in lungaggini e interessi di parte, e se la decisione fosse stata più tempestiva, forse Sagunto sarebbe stata ben difesa e avrebbe pututo reggere all'attacco  nemico. Cultura e spiritualità, analogamente, sono due campi d'azione che richiedono ascolto e approfondimento: ma il discernimento deve condurre subito alla decisione, alla scelta, o sarebbe ancora meglio dire, all'elezione. Ignazio di Lojola, quando parlava di discernimento, ha enucleato il problema della scelta in un compendio estremamente significativo: io posso scegliere ( senza  ombra di dubbio) quando Dio sceglie.  il don

venerdì 28 settembre 2012

Quo usque tandem abutere...

"Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?". Questo incipit della prima catilinaria, non è diretto soltanto a Catilina; Cicerone si rivolge ai patres conscripti del Senato di Roma, per risvegliare la coscienza di fronte al bene comune ora minacciato. La coscienza della comunità è qualcosa di più dell'interesse individuale o del clan. Venti secolo più tardi, Teilhard de Chardin, parlerà della coscienza collettiva come di un'evoluzione irreversibile dell'umanità verso l'Ultra-Umano. La responsabilità di fronte al bene comune non può concedere scusanti o lasciar correre trasgressioni del dittatore di turno. La vigilanza intorno al bene comune ben s'accorda con la pazienza, la quale può diventare cedimento soltanto in chi non la esercita. L'esercizio della pazienza, come l'esercizio di tutte le virtù, non fa perdere la pazienza, anzi la irrobustisce, e rende lo sguardo più attento alle prevaricazioni; cresce la pazienza, infine, man mano che la chiarezza, la lealtà, la trasparenza, la giustizia vengono messe in campo come elementi indispensabili di una strategia di lotta, tesa alla vittoria e non alla resa. Dare la parola alla ragione, al diritto, ai fatti, al Vangelo, significa fare il salto decisivo dall'uomo delle caverne, che mangiava con le mani e forse era anche un cannibale, all'uomo moderno e contemporaneo, che utilizza coltello e forchetta non solo per motivi di galateo, ma perchè è cresciuta in lui la cultura e la spiritualità, ossia la compassione verso se stesso e verso l'altro, in quanto facenti parte di quell'unica umanità che chiede non solo pazienza, ma diritto e giustizia. il don

sabato 22 settembre 2012

"senza volto"

"senza immagine" non è tanto una provocazione; vorrei dire che l'invisibile è più appassionante, più creativo, più efficace del visibile. Come l'uomo che non ha più volto, di cui parla il profeta Isaia (si è nel Primo Testamento) a proposito del servo sofferente, la comunicazione che sfida l'immagine per affermare il primato dell'invisibile e della trasparenza ( direi: quel passare attraverso i muri del Risorto, come ne parlano i Vangeli), non è iconoclasta, semmai coniuga la cultura occidentale dell'immagine con la cultura orientale del "senza immagine". Il silenzio, il distacco, il linguaggio dei segni, il volto "senza volto" : tutto questo, come l'armonia tra l'individuo e la comunità, è retaggio dell'oriente. Forse l'oriente sta perdendo questo retaggio, sotto la spinta colonizzatrice dell'occidente, che spinge verso un individualismo esasperato e corrode culture millenarie, quali sono quelle asiatiche. La filosofia e la teologia in Occidente, specie in Europa, avevano dimenticato dalla fine del medioevo (che non è stato poi così antimoderno, come ci ha spiegato lo storico francese Etienne Gilson) di sviluppare, ma prima ancora lo aveva dimenticato la predicazione (che in quanto annunzio del Vangelo viene prima della riflessione teologica), la connessione, il collegamento tra persona e comunità, tra storia e fede. Ora che l'oriente viene in occidente, quest'ultimo  non può sottrarsi alla sfida della "non immagine", del "senza volto"; se lo facesse, finirebbe sconfitto da un oriente che a sua volta è confuso e disorientato. La soluzione è nel Vangelo, ancora una volta. il don

mercoledì 19 settembre 2012

lealtà e chiarezza

La parola trasparenza potrebbe riassumere il binomio "lealtà e chiarezza". Dal momento che siamo malati di "inciuci", la cura che ci vuole è proprio quella della lealtà e della chiarezza. Una cura alla quale neppure il religioso, che sempre inclina a quella che Gesù denunciava come "ipocrisia", può sottrarsi. Chiarezza nelle parole e lealtà nelle scelte. Nel Vangelo si raccomanda la correzione reciproca proprio perchè non ci sia "inciucio" nella vita religiosa. Perchè forse è proprio dalla mancanza di testimonianza evangelica che inizia la corruzione della vita sociale ed economico-politica. Se il cristianesimo viene ridotto al culto e alle cerimonie, se non si vive la lealtà e la trasparenza nell'agorà, non ci si deve meravigliare che tanti siano diventati non solo indifferenti ma addirittura ostili  verso la chiesa ed il cristianesimo. Gli studi degli psicoanalisti e degli psicologi continuano ad essere affollati da tanti disposti a pagare pur di liberarsi dai sensi di colpa. Perchè tanti non vanno più a confessarsi dal prete? Non solo perchè non credono più (hanno smarrito la fede), ma soprattutto perchè andandoci hanno costatato che i sensi di colpa aumentavano invece di diminuire. Certo la grazia è una cosa diversa dalla terapia psicologica, come diverso è il peccato dal senso di colpa. Ma un certo modo di fare ( cioè indurre al peccato per  costringere poi alla confessione ) ha indotto a credere che la confessione è considerata dal clero (non da tutto) come un atto burocratico, non come un gesto di conversione e di perdono. Nei problemi di coscienza, non c'è niente di peggio della confusione e della propaganda. Attenzione: perchè essere cristiani oggi chiede una grande responsabilità, se non vogliamo che la religione venga confinata nel privato. Qualche prete è arrivato a dire che l'onanismo è dono di Dio; avrebbe dovuto comunque chiarire che è un dono di qualcuno che ha preso il posto di Dio. Nel libro di Giobbe non si fa confusione tra la tentazione che viene da satana ed il soccorso che invece viene sempre da Dio. Satana induce al peccato; Dio sempre soccorre nel tempo della tentazione. Più che di fervorini, oggi abbiamo sopratutto bisogno di chiarezza e di lealtà, come quella che troviamo nei Vangeli riguardo alle parole e ai gesti di Gesù. Abbiamo paura di confrontarci sino in fondo col Vangelo di Gesù Cristo? il don

venerdì 14 settembre 2012

google e fecebook

"la biblioteca e la piazza" : non sono la stessa cosa; eppure ambedue utilizzano la comunicazione per fare ricerca. Cominciamo col riconoscere lo specifico dell'una e dell'altra: la prima fa ricerca attraverso il documento per raggiungere una qualche certezza su un evento, una persona, una storia; la seconda investiga ponendo domande e raccontando episodi che andrebbero comunque accertati e valutati. La biblioteca forma alla riflessione, la piazza assicura spontaneità e immediatezza di giudizio. Leggendo i commenti a documenti, interviste, servizi su internet, si può notare subito un eccesso di volgarità e di violenza verbale : il segnale più grave è proprio la superficialità e la mancanza di approfondimento su temi diversi e complessi. Il pregiudizio, per chi studia e ricerca davvero, è il vero nemico da combattere; di fronte ad esso occorre sempre stare in guardia. La precomprensione è l'atteggiamento più giusto di fronte alla ricerca: prima di parlare devo documentarmi, vagliare i documenti, accertare la verità prima di esprimere un giudizio. Nella ricerca, il punto di vista dell'altro è altrettanto importante quanto il mio: sono interessato a conoscere la  tesi dell'altro e la documentazione a sostegno di essa. Nel confronto ciò che ricerco non è tanto la mia vittoria, ma l'incontro con l'altro che è dentro la verità che intendo difendere. In definitiva abbiamo più bisogno di google o di fecebook, di biblioteca o di piazza? Non porrei la questione sotto l'aspetto dell'alternativa: direi che la fatica dello studio è necessaria per una comunicazione (oltre che per un'azione) più incisiva orientata all'incontro; l'immediatezza e la spontaneità del parlare in piazza è utile per non fuggire di fronte ai problemi concreti. L'interazione tra queste due forme di comunicazione dev'essere perfezionata perchè gli appassionati della biblioteca e della piazza possano comprendersi e incontrarsi. Ciò che ogni mondo può fare, tanto per cominciare, è aprirsi all'altro mondo!  Creare ponti, non costruire muri! il don

mercoledì 12 settembre 2012

il negativo oggettivo distinto dalla persona

Il negativo oggettivo va bandito; il negativo nella persona va trasformato. Il cristianesimo ha sempre distinto il peccato dal peccatore: in questo, Paolo di Tarso seguiva Gesù Cristo (nella Lettera ai Romani, Paolo prospetta un recupero del peccatore tramite la Grazia, dopo aver riconosciuto che il peccato è un'energia estranea che s'impossessa dell'essere umano). Agostino d'Ippona, nel confronto con Pelagio, ha affermato l'impossibilità per l'essere umano di salvarsi con le proprie forze e con le presunte virtù "naturali": soltanto "il dono di grazia" ( il richiamo a Paolo è chiaro) può tirare fuori l'essere umano dai peccati nei quali è immerso. Nel Novecento, il peccato è sostituito dal senso di colpa, del quale hanno parlato la psicoanalisi di Freud e la psicologia del profondo di Jung: si è perduto il senso oggettivo della colpa, finendo per parlare solo di sensi di colpa. Ma gli studi degli psicoanalisti e degli psicologi, pur essendo sempre affollati da pazienti che non trovano mai una guarigione definitiva ( pazienti in cura per anni, non giungono mai a riconoscere l'esistenza oggettiva della colpa, perchè sono sempre rinviati a dei sensi di colpa da combattere e superare, come dice Martin Buber). I sensi di colpa, dei quali altri sarebbero colpevoli, non alleviano la coscienza personale e neppure la società : soltanto quando si riconosce la propria colpa e se ne fa un'espiazione nella sfera della coscienza e nella sfera sociale,  si può sperimentare una trasformazione della colpa in una vita nuova (ciò che i teologi chiamano esperienza del dono di grazia, quando il peccato è perdonato da Dio che vi ha messo nel cuore il desiderio della vita nuova che vuole rompere col passato di peccato). La psicologia può guarire nevrosi, ossessioni, psicosi, depressioni, isterie; ma l'odio verso chi ti ha fatto del male, l'ingiustizia mascherata di legalità, la sete e fame di guadagno, il desiderio di successo, l'ideologia edonista, può vincerli soltanto chi mette in pratica il Vangelo. E' il Vangelo che ha rimesso insieme "spirito e vita": dunque non una vita contro lo spirito, e neppure uno spirito contro la vita. Nel Vangelo si testimoniano cambiamenti di vita vistosi: ricchi che decidono di condividere coi poveri, edonisti che mettono la loro vita al servizio del prossimo, illusi disillusi che muoiono dopo aver deciso di vivere per un Ideale più grande. Non di rado i più grandi peccatori divengono i più grandi santi: non la severità li ha conquistati, ma la grande compassione. Riesce a combattere il male oggettivo, chi se ne dissocia. Torniamo a parlare di peccato e di perdono divino e umano, distinguendo la sfera giuridica, la sfera affettiva e la sfera religiosa. La tolleranza verso il diverso si riesce a conquistarla nella misura in cui si riconoscono le proprie colpe. L'unità di interiore ed esteriore è un obiettivo non solo della persona, ma anche della comunità umana.  il don

sabato 8 settembre 2012

la rete

La rete non è un pulpito e neppure una cattedra. E' qualcosa di meno e qualcosa di più: è un esercizio di relazioni; richiede umiltà per imparare dall'altro, e coraggio per non lasciarsi trascinare dalla corrente. Richiede impegno notevole, non improvvisazione: nel rispetto per l'altro si può intravvedere quanto ognuno chiede a se stesso. L'obiettivo non potrebbe essere quello di salvare le apparenze o di costruirsi un'immagine, magari a scapito della verità, della giustizia e della compassione. Il linguaggio sboccato che si trova spesso nei commenti, non sarebbe grave sotto l'aspetto morale; l'aspetto più grave è la superficialità e l'ignoranza che mostra nei confronti della cultura, della comprensione dei problemi, del qualunquismo delle soluzioni che prospetta. La fretta,  della quale siamo vittime e preda, ci impedisce l'approfondimento, la cura del particolare e lo sguardo d'insieme, la riflessione personale, la presa di distanza dalle mode correnti.  La cultura industriale ci ha marcati: al posto del prodotto artigianale che richiedeva tempo e pazienza, ci rifila un prodotto che è perlopiù merce di scambio e di denaro. La rete può cadere in una trappola mimetica : chi la usa potrebbe vedervi in essa soltanto un utile, un tornaconto; oppure qualcuno potrebbe utilizzarla come passatempo. L'una e l'altra cosa non svilupperebbero la relazione tra persone. Nella relazione ciò che conta davvero è smascherare l'io falso e affermare l'io vero: un esercizio che muove tra interiore ed esteriore, perciò non ha paura di confessare il proprio limite e di riconoscerlo quando gli venisse prospettato dall'altro. La rete mi appare come esercizio di relazioni: ciò che mi appassiona non è tanto il poter fare soldi, neppure il costruirsi un'immagine d'apparenza...; è l'opportunità di interagire per preparare un nuovo umanesimo. Perciò tutto il positivo va salvato, ed il negativo bandito. E' la FEDE NELL'UMANITA' che può aiutare a riscoprire l'amore e l'odio, la scelta tra la colpa oggettiva e le sensazioni individuali della colpa. La rete offre la grande opportunità di superare il soggettivismo, ogni forma di chiusura individualistica, di rimettere in gioco l'intersoggettività, di superare la contrapposizione tra l'ideale e la prassi. Il gioco scoperto è sempre un gioco ben fatto, il gioco truccato viene sempre scoperto: lo sanno tutti coloro che puntano sull'inganno e sulla menzogna. Certo, c'è oltremodo bisogno di passare all'azione e alla pratica, ma sempre guardando in alto e lontano; l'utile immediato potrebbe dimostrarsi una trappola e finire col rompere la rete.   il don

domenica 2 settembre 2012

il dialogo tra movimenti e nuove comunità

La Pentecoste del 1998: un grande evento. L'incontro a piazza s.Pietro tra i movimenti e le nuove comunità, incontro voluto dal Papa, avrebbe dato impulso e slancio ad un'interazione più stretta intorno all'obiettivo comune del rinnovamento conciliare. Più centralità al Vangelo e più concretezza nel metterlo in pratica. Più dialogo tra cristiani di chiese diverse e con i fedeli delle altre religioni. Più importanza al vissuto spirituale e alla testimonianza voluta da Gesù Cristo. Più energie spirituali e più denaro al servizio del Vangelo; più gesti concreti di amore al prossimo. Si vanno spegnendo le invidie, le gelosie di gruppo, le chiusure nel proprio movimento o nella propria associazione, la difesa ad oltranza del gruppo di appartenenza. Si sviluppa in tutti l'idea e la pratica di un uomo-mondo: il movimento che è più portato all'azione impara da chi dedica più spazio alla preghiera; chi cura con passione la liturgia impara da chi sa e vive la comunione, fine ed effetto dell'azione liturgica. La vita a colori è molto più bella della vita a bianco e nero: s'impara il servizio nell'economia, nella preghiera, nello studio e nell'ambiente, nella comunicazione, e tutto orientato alla comunione o all'unità. Ciò che ognuno può imparare dall'altro è la fede vissuta, la speranza ravvicinata, la carità gioiosa. Ogni cristiano trova la sua gioia quotidiana nel Dio in croce, "perchè su questa terra Dio dobbiamo amarlo e preferirlo in croce" (Chiara Lubich); da Lui impara che "l'amare senza misura non è mai invano" (Tony Weber); in Lui trova il modello della vita trinitaria in terra (Silvano Cola). Ognuno potrebbe lasciarsi sempre interrogare dall'altro: quanto tempo e quanta importanza dai al movimento che non è il tuo ma il suo?  il don

lunedì 27 agosto 2012

cos'è la massoneria?

Il motto massonico: libertà-uguaglianza-fratellanza. E' un obiettivo religioso, politico, ideologico, culturale? Il motto sarebbe quello della rivoluzione francese!
Il tempio massonico : al suo interno, si trovano, tra l'altro, le statue di Venere, di Minerva... Reminiscenze del politeismo pagano?
La dottrina massonica: il "grande architetto dell'universo" è una creazione umana o una rivelazione divina? Quale relazione intrattiene con l'umanità ? Di distacco assoluto? Come interviene nella storia umana? Come Fato o come Provvidenza? Con la giustizia o con la compassione? Punisce o guarisce?
Porre domande non è semplice curiosità; ma si può giungere al dialogo soltanto se c'è un coinvolgimento esistenziale, e non solo intellettuale.
Perchè diventare massone? Perchè partecipare ad una liturgia massonica, da muratore, da maestro? Da venerabile potrei capire perchè!
Dal momento che l'epoca del proselitismo è finita anche per le grandi religioni del mondo (cioè è finito il tempo della conquista; è iniziato il tempo della testimonianza), non rimane altro se non una testimonianza di servizio alle persone concrete e al popolo. Occorre far comprendere bene ciò in cui si crede; occorre mostrare in trasparenza la propria azione e le attività che si compiono. Il dialogo potrebbe infine divenire interazione soltanto se si fosse trovato un obiettivo comune di più grande libertà, uguaglianza e fraternità. Senza pregiudizi...!  il don

giovedì 23 agosto 2012

letto per voi: Oltre la filosofia

Il libro di Ran Lahav, docente all'università di Haifa (Israele), fa parte della "pratica filosofica", iniziata in Europa nei primi anni Ottanta, però "con una direzione che  è sembrata troppo pragmatica" (p.3), " e invece di aiutare i singoli a elevare la vita e a viverla più pienamente, ha finito per concentrarsi sull'autoanalisi intellettuale e sul pensiero critico"(p.3). Si tratta si scoprire invece la realtà umana come un processo trasformativo, volto verso una pienezza di vita, cioè verso un'umanità più libera, più creativa, più autentica. La pratica filosofica come modo di vivere significa : più che criticare, ispirare la vita, riscoprendola come una meraviglia che toglie la confusione e fa apparire la bellezza in tutta la sua chiarezza. Il processo trasformativo chiede nuove categorie di applicazione: i pattern, le visioni, le forze, l'esplorazione del perimetro. L'ascolto delle "voci" intorno alla libertà, alla creatività, all'autenticità; le voci del giusto e dello sbagliato; tutto questo serve a comprendere il perimetro nel quale muoversi, per trovare un "disegno significativo". Per esempio: in William James si può notare "LA LOTTA PER UN IDEALE":  il vuoto e la noia derivano dal fatto che intendiamo ottenere senza lotta o senza difficoltà quello che desideriamo (p.142-143). La potenza del desiderio che cerca un ideale non facile, ma che sia piuttosto frutto di fatica e di conquista. Il desiderio che suscita energie e lotta per un ideale che non si spenga nell'attimo che fugge.
Si può dire che la filosofia torna ad essere ricerca di saggezza, di vita autentica: perciò nè troppo teoretica, nè troppo pragmatica. UN VISSUTO PENSATO . il don

martedì 14 agosto 2012

letto per voi: Mai senza l'altro

Michel De Certeau, "uno storico affascinato dall'avventura mistica", si potrebbe anche dire "dall'esperienza mistica". Infatti non c'è vera esperienza, se non ci si inoltra nel rischio di un'avventura. E' attraverso l'avventura che si possono fare nuove scoperte, vedere altri mondi, non fermarsi all'apparenza ma entrare delicatamente nell'interiore. Chi disprezza l'avventura e l'esperienza, rischia di rimanere prigioniero del vecchio mondo. De Certeau è un gesuita che ha viaggiato nel mondo della differenza e dei conflitti. Quando parla del luogo, lo dice un evento. Il momento privilegiato, l'evento (nel linguaggio neotestamentario, il Kairòs) da origine alla storia, che è un itinerario, un cammino di continuità, nonostante le crisi e i conflitti che tentano di azzerare l'evento. L'esperienza è indizio di un mutamento nel linguaggio (pp.109-113): il linguaggio nuovo è esigito sia dal discorso scientifico, sia dal linguaggio affettivo-amicale; dal primo si esige il rigore, dal secondo l'autenticità. Si considera linguaggio fiacco: il politichese, l'ecclesialese, il mediatichese, ...Perchè si considera fiacco un certo linguaggio? Perchè non dice niente alla persona; non investe nella relazione; si rifugia nella rappresentazione dell'istituzione. Le passioni, i conflitti ( continua De Certeau) possono diventare "un'iniziazione all'esistenza dell'altro". Sarebbe cosa triste, e forse anche inconcludente, un atteggiamento cristiano irenico, che rinuncia cioè ad ogni forma di lotta, che si tira da parte pur di godere comodità. Cristo stesso ha detto: "non sono venuto a portare la pace, ma la spada". Senza una lotta per qualcosa di più autentico, di più puro, di più giusto, di più profondo, di più alto,  di più amaro e di più dolce, tutto rimarrebbe piatto, scialbo, insipido, alla fine persino disgustoso. Un palato raffinato sa gustare un buon piatto, sa centellinare un buon vino; ma un assetato e un affamato sanno apprezzare molto di più un pezzo di vero pane e un bicchiere d'acqua fresca. De Certeau direbbe infine: "si diventa artisti, quando ci sottomettiamo alla realtà che squarcia i nostri sogni". Più che sognatori, realizzatori!           il don

venerdì 10 agosto 2012

la novità del Vangelo disprezzata

Chi si omologa al mondo, disprezza la novità del Vangelo. Chi esige il rispetto, ma non lo dà, contraddice il Vangelo. Chi predica senza prima aver vissuto, dice qualcosa che attira la bestemmia sul Vangelo. Chi nicchia a risolvere un problema con lealtà, preferendo un consenso strappato con la pressione o l'inganno, tradisce la semplicità del Vangelo. Chi rifiuta la lealtà ( "il tuo parlare sia sì sì, no no") di un incontro, sceglie la menzogna di Satana piuttosto che la verità del Vangelo.
Potremmo continuare all'infinito, analizzando una per una tutte le situazioni umane nelle quali ci troviamo sempre imbrigliati, non riuscendo mai a fare ciò che il Vangelo ci chiede, e cadendo sempre nel compromesso, che molto spesso non è colpa grave, ma di sicuro manifesta la nostra paura a dare la vita sino in fondo. E' la perdita delle sicurezze che ci fa paura!  Lasciar tutto in concreto è il vero inizio di colui che sceglie  la libertà del Vangelo: il difficile però è non tornare a prendersi sotto altra forma ciò che si è lasciato. Dare la vita senza pretenderla da altri! La reciprocità del dare-ricevere è affidata al mistero, all'evento che porta dentro di sè il mistero: occorre esser pronti a ricevere il "crudo del vangelo", la nuda croce, che lascia le cose come sono, perchè l'altro non risponde, o perchè voleva una domanda diversa, o perchè anch'egli è bloccato dalle circostanze a non dare la risposta desiata. Un fatto è certo: chi canzona, chi giudica, chi disprezza, chi emargina, chi incatena, chi opera il ricatto, chi gioca sulla pelle dell'altro, chi si diverte al prezzo di far soffrire l'altro, chi impone il suo dictat, chi non lascia via di scampo ( o cedi o non avrai salva la vita), usa il bumerang, infine ogni violenza gli tornerà addosso. Il Vangelo è chiarissimo : dare la vita e basta, non è mai invano, perchè nessuno potrà togliertela.  il don

domenica 5 agosto 2012

letto per voi: L'esperienza interiore

Questo testo di Thomas Merton, trodotto in Italia a cura della editrice San Paolo, si presenta come un classico di meditazione-contemplazione. A noi interessa molto da vicino, per la distanza che prende nei confronti dello psichismo gnostico. La premessa del percorso che Merton indica: occorre fare dapprima la scoperta che l'io esteriore è illusorio, è l'io falso. Cosa cerca l'io esteriore? Intende realizzare progetti egocentrici, conseguire soddisfazioni e successo, raggiungere un possesso sulle cose e sulle persone quanto più ampio possibile. Quando si risveglia l'io interiore? Quando  entra in un'esperienza spirituale di silenzio, di umiltà, di semplicità, allora si comincia a far vivere l'io vero. L'io interiore comincia ad affermarsi quando inizia a liberarsi dalla tirannia dell'autogratificazione, dell'amore per le comodità, dalla ricerca del piacere - dell'orgoglio - della vanità - della cupidigia. L'io interiore può cominciare a vivere quando inizia ad amare : è l'amore che rompe la corazza dell'io falso, esteriore.
Ma occorre superare l'autoinganno che la società cerca di imporre ai suoi membri sul modo di pensare e di vivere. Per coltivare la vita spirituale, occorre andare in un'altra direzione, assumere altri atteggiamenti. Le ambizioni che l'io falso si crea, per una certa immagine illusoria, devono essere sostituite da azioni d'amore disinteressate; queste ultime infatti ricreano l'unità interiore dell'io vero.
Due realtà divengono fondamentali per la crescita dell'io vero: 1. la ricerca della volontà di Dio in tutto ciò che si fa e si pensa; 2. la conoscenza della vera dottrina cristiana che preserva da comportamenti e prima ancora da pensieri erronei. Merton cita Newman e i padri del deserto, i quali affermavano che credere il falso conduce a comportamenti falsi. L'ostacolo più grande alla Grazia di Dio è voler rimanere guida di se stessi: se Dio è costretto a ritrarsi, l'io ricade nell'esteriore.
Per concludere, una citazione dal testo di Merton: "Se una persona è veramente guidata dallo Spirito Santo, la stessa grazia si prenderà cura di lui, perchè semplicità e oscurità esteriori sono segni di grazia. E lo stesso vale per la docilità e l'obbedienza. Ogniqualvolta c'è un conflitto reale con l'obbedienza, colui che cede e obbedisce non perde mai. Crescerà sempre nella grazia e non dovrebbe permettersi di sentirsi frustrato  dal suo sacrificio" (p.141).
Il discernimento può dirsi ben fatto solo quando la mia volontà è venuta a coincidere pienamente con la volontà divina: una volta fatta questa esperienza, la si potrà continuare a ripetere sia pure in luoghi diversi e modi diversi; ma rimarrà sempre che ciò che Dio vuole, lo voglio anch'io.  il don