giovedì 28 settembre 2017

L'educazione cristiana

"Il rischio educativo": una  lezione di Luigi Giussani risalente a decenni orsono, che è possibile ascoltare su YouTube, mette al centro un impegno trascurato nel tempo del benessere, cioè quando si è soltanto occupati a fare soldi e a consumare, sapendo ma non pensando che col denaro non tutti i problemi si possono risolvere; anzi quelli più decisivi rimangono insoluti. L'impegno di  trasmettere il passato, la radice della propria cultura storica e religiosa.
Nel tempo dell'indifferenza e dell'apostasia, l'impegno educativo, ossia della trasmissione della fede e degli ideali, rimane quanto mai necessario e urgente  per non lasciare la nuova generazione scoperta di fronte al mondo. Gli educatori sono i depositari della tradizione: avendo ricevuto il passato, con passione dovranno trasmetterlo, perché sia ricreato in ordine al futuro, con metodo. Ipotesi di lavoro e verifica: questi due momenti del metodo, Luigi Giussani metteva al centro del "rischio educativo".
Rischio: non solo perché è possibile che l'educatore fallisca. Rischio, perché l'educatore deve mettere in gioco la propria vita di credente. Appassionare ad una fede, ad un ideale, ad uno stile di vita si può, soltanto se la vita trasmette la vita (come diceva Romano Guardini), e non tanto se si dicono  parole e pensieri!     il don

lunedì 25 settembre 2017

La competenza

Importanza e competenza esprimono due atteggiamenti diversi.
L'importanza pensa di poter comprare tutto col denaro: il lavoro, il potere politico,
l'immagine, persino la felicità.
La competenza si gioca tutto sui meriti, sulla formazione, sullo studio, sulla ricerca;
ma deve stare attenta a non incappare nel rigorismo giansenista e nella virtù pelagiana;
in altri termini, deve riuscire a decentrarsi per vincere la tentazione narcisista.
La competenza deve sostenere, ai nostri giorni, un duro combattimento contro l'importanza che fa leva sul "cretinismo economico" (come afferma Diego Fusaro, seguendo Antonio Gramsci).
Pierre Bourdieu, nella raccolta di saggi "Contro-fuochi", afferma che "oggi la precarietà è  dappertutto". Ma, se la precarietà fa parte di una strategia politica messa
in campo dall'economia delle multinazionali, essa non può essere accettata con rassegnazione. Occorre assumerla per trasformarla! Come?  Con la competenza, più che con l'importanza!  Ossia ricominciando a dare valore a un ideale, a una fede, ad una causa grande, ad un fondamento che non sia effimero.
Una fede lotta contro ogni forma di scetticismo, di relativismo, di qualunquismo
libertino; sa tenere insieme la libertà e il dono, l'io e l'altro, il ricevere e il dare.
C'è più bisogno di competenza che d'importanza!   il don

giovedì 21 settembre 2017

Il cuore

Chi intende conquistare il cuore dell'altro, deve riconoscere il suo nome ed il suo volto, ossia lasciare all'altro la libertà di essere se stesso o se stessa, rinunziando all'idea ossessiva di cambiarlo secondo i propri gusti e le proprie preferenze.
Il volto è unico e inconfondibile  ( i sosia sono pochissimi), come unico è il nome; così,  il cuore di ognuno|a  vuole rimanere libero, non determinato da alcunché o da chicchessia.  Il cuore si lega liberamente ad un altro cuorequando il cuore parla al cuore; le chiacchiere parlano soltanto alle orecchie.
I cuori restano lontani tra loro, forse si allontanano sempre più, quando ognuno fa  parlare l'Io che vuol dominare, l'Io che vuol possedere, l'Io che vuole cambiare l'altro invece di accettarlo e lasciarlo essere così com'è.
Allora non cambieremo mai? Resteremo sempre con gli stessi difetti e le stesse deficienze? La correzione diviene possibile quando due cuori hanno stretto  un legame di libertà e di gratuità (distacco dall'amor proprio) e hanno compiuto  un patto di aiuto reciproco nel dare il meglio di sé, migliorandosi e migliorando l'altro.   Nessuno rinunzierebbe al più per un meno, a meno che non sia un fesso!     il don

lunedì 11 settembre 2017

Chiesa - Mondo

L'ordine dei domenicani non ha rinunciato alla beatificazione di fra Gerolamo
Savonarola. E ha fatto bene!
La Congregazione dei santi della Santa Sede non dovrebbe sentirsi per niente imbarazzata ad affrontare un caso così delicato: un frate bruciato vivo, complice
la Santa Sede, per via di un papa Medici, Leone X, allora pontefice regnante!
Se fra Gerolamo ha predicato il Vangelo, seguendo la testimonianza di Pietro e
degli apostoli : "non possiamo tacere",  e ancora :  "dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini", non si è scontrato con la Santa Sede per un tornaconto personale, ma
per rendere giustizia e verità al VangeloSe ha inteso correggere il mondo, lo ha fatto
mettendo in pratica quella parola di Ezechiele e di Gesù Cristo: correggi, richiama il
tuo fratello, perché si converta e viva.
L'ora della verità purifica, elimina l'io esteriore - illusorio, che vive della doppia vita, una vita d'apparenza e di ipocrita menzogna; e fa vivere l'io interiore, quello autentico.
La Santa Sede non dovrebbe avere spavento ad ammettere di aver sbagliato e di aver seguito, in quella circostanza,   la crudeltà del mondo piuttosto che la misericordia di Nostro Signore.
Se il mondo è entrato all'interno della Chiesa, Nostro Signore può fare giustizia,
perché "ha vinto il mondo" rimanendo sulla propria croce sino alla morte.   il don

venerdì 8 settembre 2017

"Io ho vinto il mondo".

Non io, Gesù Cristo ha vinto il mondo. Ma, laddove vince l'Unico Maestro,
vince anche il discepolo. Purchè il discepolo non si faccia mai maestro!
 Stando alle parole del Maestro       "Farete cose più grandi delle mie.
Sarete me", il discepolo non smette di credere che l'impossibile potrà divenire possibile, non per merito suo, ma per l'azione dello Spirito santo.
Il rischio affrontato per amore, non per temerarietà o per voglia di scherzare, può
incontrare la sorpresa della divina avventura.
Il torpore dei cristiani, il loro quieto vivere di santini, statuine e oggetti sacri ...,
il loro ridurre la religione a folklore, manifestazione esteriore che accontenta
l'occhio e soddisfa l'io narcisista ... non può vincere il mondo, anzi lo asseconda
e lo fa proliferare ...
La mediocrità è incubatrice degli scandali: non solo gli scandali  dei preti pedofili, e
 dei   preti che hanno avuto figli illegittimi con donne libertine, ma anche gli scandali
di chi persegue il dio denaro; e non si cura di evangelizzare e testimoniare Il Vangelo di Gesù Cristo. Non sono le devozioni, le processioni, le feste di folklore a fare i cristiani.  Il cristiano che lotta contro il mondo e vince è colui che brucia di passione
per il Vangelo del suo Signore. Gioacchino da Fiore aveva ragione a dire, otto secoli orsono: è tempo di Spirito Santo; questo "Dio sconosciuto", ha detto Von Balthasar, nel secolo scorso.   Lo Spirito comunica il segreto della vittoria!    il don

sabato 2 settembre 2017

Il fallimento

Il fallimento è un dramma, è una crisi, che crea  smarrimento (egarément); ma può
divenire anche un'opportunità per ricominciare alla grande,        con un di più di consapevolezza e di passione per un ideale che non era stato messo abbastanza a fuoco.
Il fallimento passato non si può  cancellarlo: c'è stato e resta;         l'errore fatto va semplicemente accettato, e che sia avvenuto per colpa propria o di un altro, non cambia molto le cose. 
La cosa decisiva è imparare dal proprio errore: non ci si ripete incessantemente, se si ricomincia su basi nuove. L'enracinement, ossia il radicarsi di nuovo, dice che è determinante ricominciare, ma su nuove radici. L'Io è una radice fragile: per quanto impegno possa mettere, l'Io  rimane sempre vittima dell'illusione narcisista. Il Noi è una radice più profonda: si gioca il progetto sulle relazioni, sui legami che tengono insieme la comunità. Un nuovo fallimento diviene più improbabile, quando una comunità lo sostiene con convinzione e maggiore consapevolezza.
Il fallimento, una volta elaborato,  mostra l'inconsistenza dell'io falso o illusorio, ma rinforza l'io autentico, fa emergere l'io interiore, quello che non avrà più paura di altri fallimenti o  di altre crisi, quello che non andrà più incontro allo smarrimento, neppure quello più tragico della morte, perché intanto ha fatto esercizi di distacco.    il don