giovedì 31 gennaio 2013

il progetto nasce strada facendo

"Abbiamo bisogno di mappe
e non sappiamo ancora che la migliore
si costruisce strada facendo,
nel mentre andiamo edificando
quello che ancora ben non sappiamo".
Questo pensiero di Duccio Demetrio è citato da Enzo Biemmi nel suo libro "Il secondo annuncio", sulla catechesi in Italia. Un libro  che svela un percorso di esperienze già compiuto e indica l'orientamento per il futuro. Un progetto di vita cristiana sostituisce un "catechismo nozionistico" incapace quest'ultimo di incidere sull'affettività e sui comportamenti perchè troppo astratto rispetto alla vita quotidiana. Non si può edificare la comunità se non si fa  strada la relazione. Giustamente il Documento Base della catechesi, proprio in chiusura, indicava il percorso: prima viene la comunità (da costruire, nel caso ancora non ci fosse), poi vengono i catechisti (che sono gli inviati di Cristo e della comunità ecclesiale; Cristo e  Chiesa formano un tutt'uno, in quanto Cristo è il capo del "corpo mistico" che è la chiesa), infine vengono i catechismi. Il Documento Base indicava il percorso inverso a quello comunemente seguito: si metteva nelle mani dei catecumeni un testo di catechismo, ed il catechista lo spiegava senza preoccuparsi di mostrare la testimonianza della comunità che doveva sorreggere la catechesi. Strada facendo nasce il progetto : il che significa che occorre riconoscere  una pluralità di metodi : per esempio, se gli scauts hanno un loro metodo educativo, la catechesi andrebbe applicata attraverso quel metodo; lo stesso potrebbe fare l'Azione cattolica, ecc. Partendo dal vissuto umano occorre arrivare al vissuto spirituale! Il vissuto seguente sorpassa quello precedente, senza buttarlo via o sprecarlo. La relazione cristiana si edifica sulla relazione umana : ciò che  il vangelo vissuto mette in più è la comprensione invece del giudizio che stronca, è l'aiuto reciproco invece dell'invidia che divide, è la comunicazione di esperienze evangeliche al posto del chiacchiericcio che toglie fiducia.  Se poca strada abbiamo fatto in questi ultimi decenni, è perchè ci siamo lasciati distrarre dal divertimento e dall'avidità del denaro, dimenticando che l'educazione umana e cristiana è la merce più preziosa per la quale vale spendere tempo, energie e mezzi di ogni sorta.  il don

martedì 29 gennaio 2013

gettare ponti

"Si ripiegano i bianchi abiti estivi
e tu discendi sulla meridiana,
dolce Ottobre,  e sui nidi.
Trema l'ultimo canto nelle altane
dove sole era l'ombra ed ombra il sole,
tra gli affanni sopiti.
E mentre indugia tiepida la rosa
l'amara bacca già stilla il sapore
dei sorridenti addii".
Questa poesia di Cristina Campo, da "Passo d'addio" del 1956, esprime liricamente ciò che la poetessa scriveva in prosa ad un amico: "cerco di gettare ponti tra te e te stesso", e tu dovresti fare altrettanto (sottinteso), mostrandomi il ponte "al di sopra di tutto quello che t'incatena".
La morte è là per eliminare il compiacimento del possesso: quì la morte non è relata soltanto alla fine fisica del corpo e alla fine psichica dell'eros; ora la morte conduce alla vita spirituale nel distacco da ogni possesso.
"Vivere dentro" impedisce quell'operazione panteistica e gnostica secondo la quale ci si identifica con la natura e sugli esseri umani invece ci si vuole imporre ad ogni costo. 
Simone Weil diceva: "La grande ènigme de la vie humaine ce n'est pas la souffrance , c'est le malheur". La disgrazia è "l'amara bacca" che sembra impedire la realizzazione del proprio disegno di vita. Invece "il dolce Ottobre" è lo spiegarsi del disegno divino che proprio attraverso la sofferenza getta il ponte per realizzare il suo piano, che è anche il tuo; e Ottobre lo svela.
Proprio "l'attenzione, che è un attender certo", ha fatto dire a Cristina Campo che "Dante non è un poeta dell'immaginazione (visione gnostico-romantica) , ma dell'attenzione". L'attenzione all'infinito e all'eterno sorpassa la nostalgia dei distacchi (il ripiegamento sul passato) e apre all'attender certo dell'Amore che perdona e nell'autunno porta ancora saporosi frutti.  il don


venerdì 25 gennaio 2013

meditazione e comunicazione

La meditazione sviluppa anzitutto l'interiorità : apre la dimensione affettiva alla dimensione intellettuale. Lo sanno coloro che quotidianamente dedicano un pò di tempo alla meditazione: se il cuore e l'intelligenza si pongono in sintonia, allora tutte le azioni della giornata (dallo studio al lavoro, dalla gestione economica alla scelta politica) non sono subite, al contrario sono vissute con pienezza. "la plenitude de la vie est l'amour" : dicono i francesi. La vita canta proprio quando si ama!
Con la meditazione cristiana si ritrova la relazione certa con Dio: la sua Parola diviene davvero la "buona notizia", che supera ogni prurito di giudizio o peggio ancora di calunnia. Chi vive la Parola, più che giudicare comprende. Così si passa dalla meditazione alla comunicazione.
La meditazione non è fatta per stare soli con se stessi; apre alla comunicazione con Dio e con ogni essere umano. Se la meditazione ti mette in pace con te stesso, allora puoi comunicare in profondità con tuo padre e tua madre, con tuo figlio e con tua figlia, con l'amico e persino col nemico, col vicino e con lo straniero. 
La controversia ed il conflitto possono servire sino ad un certo punto; ma si può lavorare insieme soltanto se si cerca l'incontro; se al posto dell'io si cerca la relazione. La soluzione dei problemi comuni è necessaria anche per la soluzione dei problemi personali. Una cultura individualista e narcisista ha messo in ombra la dimensione comunitaria della vita : dalla famiglia alla città, dalla chiesa allo stato... La tecnica spinge sempre più alla soddisfazione di bisogni e di prodotti centrati sull'individuo...Per fortuna la comunicazione ha come suo fine interno quello di sviluppare relazioni. 
"dans l'evangile nous tàcheron l'engagement e l'aneantissement du Crist e de l'eglise" : dona la vita colui che la sa perdere! 
il don

lunedì 21 gennaio 2013

la fedeltà non spegne l'innamoramento

Si potrebbe essere d'accordo con Freud che "l'innamoramento è un delirio" soltanto se esso non avesse durata in tutti i casi umani. Invece si dà il caso che spesso l'innamoramento duri una vita, nonostante le prove e i momenti di difficoltà. Ciò che dà durata all'innamoramento è la fedeltà. Per esempio: chi è davvero innamorato del Dio-Uomo, Gesù il Cristo, cerca di rimanere fedele a lui, nonostante la tempesta ed il vento contrario. Un altro esempio: il marito che è davvero innamorato della moglie, le rimane fedele, andando oltre gli errori e le incomprensioni. La fedeltà non solo garantisce che l'innamoramento permanga; fa qualcosa di più: lo rende attuale e più concreto. La fedeltà possiede l'energia di rivitalizzare l'innamoramento. L'esperienza di fede è un'esperienza mistica: è la risposta dell'essere umano al Dio che è innamorato della creatura opera delle sue mani. E l'amore di Dio non si ferma neppure di fronte all'ingratitudine della creatura peccatrice. Come ha raccontato Gesù nella parabola del Padre misericordioso che non ha mai smesso di amare il "figliol prodigo", il figlio perduto, Dio Padre continua ad avere un amore ed un ricordo proprio del figlio che ha peccato ed è lontano: e attende il ritorno del figlio, da lontano ne segue il cammino, prepara una grande accoglienza per il suo ritorno. Se qualcuno smarrisce l'amore, c'è sempre l'altro che continua a credere all'amore e rimane fedele a quella fiamma che fece dei due una cosa sola. E' la fedeltà che riporta alla casa dell'amore colui che fu innamorato e poi smarrì l'amore, quasi fosse stato un delirio. La fedeltà ricrea l'amore, quando l'amore si è smarrito!   il don

martedì 15 gennaio 2013

il giudizio e la colpa

Il romanzo "La gloria" di Giuseppe Berto (Premio Viareggio e Campiello 1964), scava nel mistero del male, rivisitando la storia evangelica di Gesù di Nazareth, di Giovanni e di Giuda. Ha scritto lo stesso Berto a proposito di questo suo romanzo:"Sognavo un romanzo ambizioso e bellissimo e l'ho scritto pensando ai giovani e a tutti coloro che non credono in Dio, ma sentono l'angoscia di non crederci". Nel frontespizio leggiamo questa citazione dal libro di Giobbe 40,8 :"Vuoi tu annullare il mio giudizio? Incolpare me per giustificare te stesso?". La colpa è posta di fronte al giudizio, non al di sotto di esso. Ciò che colpisce nella lettura di questo romanzo è il porsi dell'autore dalla parte di Giuda contro Giovanni, "il discepolo che Gesù amava".  Perchè Giovanni si accanisce contro Giuda, chiamandolo "ladro" e "traditore", mentre Gesù stesso, vittima sì ma al tempo stesso complice del suo traditore, chiama Giuda "amico" proprio nel momento del tradimento, nell'orto degli ulivi? E prima ancora, durante l'ultima cena, Gesù sembra ancora complice di Giuda quando sollecita il discepolo che teneva la borsa (la cassa dei risparmi) a compiere il suo compito: "quello che devi fare, fallo presto". Non Gesù, ma Giovanni, dice Berto, ha posto su Giuda il giudizio di condanna per la colpa. Gesù, sino alla fine, lascia a Giuda aperta la via dell'amore...Se "il racconto è dolore", come diceva Eschilo, certo Giovanni ha raccontato una storia di morte e di dolore; ma perchè guardare con pietà il dolore e la morte di Gesù, mentre il dolore e la morte di Giuda è trattata con disprezzo? Perchè l'evangelista del "fratello", e non del "prossimo", non si mossò a pietà di "fratello Giuda", quando in Gesù non si vede ombra di risentimento e di definitiva condanna?
Infine, conclude Berto, lo stesso grido angoscioso di Gesù "Dio mio, Dio mio , perchè mi hai abbandonato?" è una domanda che resta senza risposta; come lo stesso destino di Giuda è segnato da un male misterioso che è senza soluzione.
Interessantissimo questo romanzo in cui l'amore si scontra con la colpa che è tradimento dell'amore. Lo scavo nell'interiorità dei destini delle persone per comprendere cosa sia la colpa, chi possa esprimere un giudizio, se ci possa essere un amore senza la fede, questo scavo è sì fatto che la teologia è chiamata in causa. 
Infine, mi permetto di dire, Gesù ha voluto guarire e salvare l'umanità col dare la vita e rimandando il giudizio sulla vita e sulla morte "all'ultimo giorno". Non avrà salvato anche Giuda nell'ultimo istante di quel giorno, nel quale il Padre non sembrava ascoltare nè il grido del Figlio nè quello del suo traditore?  il don

il riconoscimento dell'errore

S'impara dai propri errori, non solo dagli errori degli altri. Il riconoscimento dei propri errori è essenziale sia per la crescita personale sia per la crescita della comunità. "La comunità dei perfetti" è un errore della "purezza catara", che non ammette al suo interno la presenza di peccatori. Ma se io leggo Il Vangelo non distrattamente, noto con gioia e sorpresa che Gesù riserva un'accoglienza straordinaria proprio ai peccatori; e fa notare di continuo ai dodici che la loro è una comunità di peccatori, nella quale deve esserci sì la tensione a diventare "perfetti come il Padre", ma anche che quella perfezione non sarà mai raggiunta in questa vita. Accogliersi gli uni gli altri come peccatori potrà innescare un aiuto reciproco a crescere verso l'essere perfetti. Se riconosco i miei errori, divento capace di migliorarmi. Se una comunità si crede perfetta, commette l'errore di non accogliere al suo interno i peccatori. La meditazione è uno strumento straordinario per prendere coscienza della propria vita come di un percorso di crescita che cerca di far tesoro degli errori compiuti. La meditazione opera un continuo risveglio della coscienza : ora posso rendermi conto di essere stato avido di denaro, di aver parlato in maniera arrogante, di aver prestato poco ascolto alle richieste di giustizia e di amore provenienti dalla comunità in cui vivo, di aver vissuto più di apparenze che di interiorità, di aver rischiato poco per aiutare colui che i briganti avevano assalito, di non aver preso le difese del debole o del precario, di essermi chiuso nelle mie sicurezze, di aver eluso il confronto, di aver dato poca fiducia...Ma la meditazione mi fa cogliere anche l'opera d'amore del Padre nella mia vita, i doni che di continuo elargisce: la salute che ho potuto apprezzare di più dopo una malattia, il tempo in più che mi donato per studiare e per affinare il mio senso dell'ascolto, l'esperienza che mi ha fatto fare della perdita e del distacco per ricevere poi più di quello che avevo donato. "A chi amato molto, molto viene perdonato", ha detto Gesù. Quelle persone che molto hanno amato, sono ricordate nel Vangelo come testimonianza di un peccato riconosciuto e di un perdono ricevuto. Fortunati loro, più dei "perfetti" che sono dimenticati o accusati per la loro presunzione di ritenersi "giusti".  il don 

lunedì 14 gennaio 2013

errore ulteriore

La fretta gioca brutti scherzi, ed il computer è più lento dell'intelligenza umana. la correzione giusta è "metodo fenomenologico". Ancora scuse.  il don

errata corrige

Nel post "il racconto e la ricerca" c'è un errore . Invece di "metodo metodologico", si deve dire "metodo fenomelogico". Chiedo scusa.   il don

il racconto e la ricerca

La ricerca ha il fine di approfondire il racconto. Il giudizio di Sartre su Merleau-Ponty: "due volte esule", io l'ho interpretato non nel senso di "disertore", neppure nel senso di "straniero" (era Camus che  sentiva in sé  stesso il tormento dello straniero, cioè di non essere l'eletto), ma di "deluso". Ciò che Merleau-Ponty cercava era il superamento non solo del medioevo, ma anche di una modernità afflitta dalle contraddizioni e dai conflitti. Il dialogo con la psicologia, con la politica, con l'arte non era per lui un atteggiarsi a intellettuale; era piuttosto una ricerca intorno all'uomo che si situava ora in un mondo pieno di promesse non mantenute e di conflitti ipocritamente mascherati. Si potrebbe prendere quel termine usato da Sartre, "esule", nel senso più positivo di "colui che sceglie l'esilio", perchè nella patria non si riconosce e non è riconosciuto; ma quella condizione di "esule" lo avrebbe, per così dire, posto nella condizione di Socrate, il filosofo della "ricerca" (zetesis), di cui si parla in "L'elogio della filosofia". In Merleau-Ponty ci sono più dubbi che certezze? Il fatto che Sartre lo consideri "esule", condurrebbe a vedere in Mauriçe la sua destrezza nel sottrarsi alla "pressione culturale del tempo storico", per non lasciarsi dominare dal processo storico, e divenirne un critico esigente. Direi di più : leggendo le sue opere, ho avuto l'impressione che egli guardasse più dentro che fuori, più all'interno che all'esterno, anzi che volesse legare interno ed esterno; i suoi studi sulla "struttura del comportamento" e "sulla fenomenologia della percezione" gli hanno permesso di scrivere con grande libertà "le avventure della dialettica". Sartre avrebbe voluto che Mauriçe avesse riconosciuto che "l'uomo è l'assoluto" una volta riconosciuto che "l'assoluto non è più Dio". Ma il metodo metodologico impediva a Mauriçe una tale assersione dogmatica; egli pensava, a ragione, che l'essere umano è relazione, non assoluto. Io Merleau-Ponty l'ho capito bene, forse perchè in un certo periodo della mia vita l'ho incorporato : allora io sentivo dentro di me l'uomo di fede e l'uomo ateo, e l'uno faceva crescere l'altro. I dubbi, affrontati come si deve, fanno crescere la fede (avrebbe detto J. Guitton). La cultura era cambiata, ed il cristianesimo doveva fare la nuova fatica di inculturarsi. Il comunismo marxista, la psicoanalisi, l'arte moderna sfidavano le certezze ed i dogmi del cristianesimo. La ricerca di Merleau-Ponty l'ho sentita piena di lealtà, libera dai padroni del momento, ricca del desiderio di tenere insieme "visibile e invisibile". Egli non avrebbe mai detto, come disse Sartre, "l'inferno sono gli altri", perchè molto rispettoso dei dubbi e delle certezze che trovava non solo negli altri ma prima di tutto in se stesso. Se non fosse morto prematuramente, avrebbe potuto raccontarci cosa era stato quel suo essere "esule", segnato non dalla delusione e tantomeno dalla diserzione, ma dalla stella della ricerca.   il don  

racconto

"La privation de l'amour est l'enfer". Quando ho preparato la tesi di laurea in filosofia ( e sceglierei di nuovo questa disciplina che s'interroga sulle domande, nonostante la mia vita di precariato perpetuo, perchè mi ha aperto sempre nuovi spazi  e tempi di libertà e fraternità ), ho dovuto scegliere tra Sartre e Merleau-Ponty. Ma  non ho avuto dubbi sulla scelta, nonostante avessi letto un capitolo di Sartre dedicato a "Merleau-Ponty vivo" (subito dopo la morte di Mauriçe) in "Scritti politici" pubblicato dagli Editori Riuniti. Sartre diceva di Merleau-Ponty che era stato "due volte deluso" : da giovane quando aveva abbondonato la comunità cristiana, da adulto quando aveva riunziato ad  entrare nel Partito comunista. Ho letto poi di Merleau-Ponty: "Le avventure della dialettica", "Segni", "Senso e non-senso"; e l'ultimo libro rimasto incompiuto e pubblicato postumo, un libro difficile che per due volte ho provato a leggere e comprendere "Il visibile e l'invisibile"... Alla fine si torna dal punto in cui si è iniziato..., ma non per un semplice ritorno, quanto piuttosto per riprendere il percorso di cui ora si conosce meglio il segreto : l'incarnazione della Parola che si fa carne. Sartre pensava : "l'inferno sono gli altri". Merleau-Ponty, col metodo fenomelogico husserliano, superava il soggettivismo cartesiano e Kantiano, e mostrava di credere nella ricerca intersoggettiva che supera l'individualismo da una parte e dall'altra il collettivismo impersonale. Se Merleau-Ponty non entrò nel partito comunista (in "Le avventure della dialettica" parlerà della necessaria svolta umanista nei regimi comunisti; "i fatti di Ungheria" del 1956 diranno quanto la svolta umanista fosse sentita e voluta nei paesi comunisti) non fu perchè era un disertore o un "deluso" come diceva Sartre; egli era alla ricerca di un umano che si sviluppa e si perfeziona. Morì troppo presto e la sua ricerca rimase incompiuta. Ma c'è un racconto di vita nei suoi scritti di filosofia : l'arte, la psicologia, la politica non sono per Mauriçe ricerca astratta, nè soltanto confronto di idee; egli torna e riprende ogni discorso a partire dalla persona. In questo senso la sua ricerca rimane aperta alla proposta cristiana. E' anche socialista, ma alla maniera di Peguy, ricercatore di un umanesimo dei diritti e della dignità umana. Il Cristianesimo non è stato e  non sarà invano; su tre versanti darà ancora  vita : la persona, la comunità e la storia. Sono le tre sfide del nostro tempo!
 il don

venerdì 11 gennaio 2013

la gratitudine e il diritto

L'epoca dei diritti ha dimenticato la dinamica del dono e della gratitudine. Si afferma la rivendicazione dei diritti del singolo e del gruppo (di una parte soltanto), mentre l'insieme viene oscurato. Ma il dono ha una funzione importantissima nella dinamica relazionale, in famiglia, nell'educazione, nell'economia, persino nella politica. Saper accogliere la vita come un dono, l'educazione ed il lavoro come un dono, l'amore e la fede come un dono...porta a saper ringraziare. "Denken ist danken", diceva Heiddeger. Saper ringraziare mentre si pensa, mentre si lavora, mentre si prega, mentre si ama... Sì, perchè persino l'amore potrebbe essere ritenuto un diritto, invece di considerarlo un dono ricevuto, e senza quel dono mai si riuscirebbe ad amare! La chiesa deve far riscoprire, proprio a partire dal Vangelo, che ogni circostanza è dono di Dio: la salute come la malattia, il lavoro e la preghiera, l'economia come la politica. Invece di continuare a confliggere, imparare a vivere insieme, a lavorare insieme, ad aiutarsi, a donare...Se si accoglie tutto come un dono, si diventa a propria volta capaci di donare. Non il regalo, che  spesso sotto-sotto ha un interesse utilitaristico : dò perchè intendo ricevere (in questa dinamica utilitaristica, s'innesca però, invece di una relazione protesa al patto e all'accordo, un conflitto nel quale la vince chi esibisce più potere, più furbizia, chi crea legami clientelari...); ma il dono che capovolge la logica di un diritto individualistico in un diritto di relazione. Imparare a dire grazie non è un semplice atto  di galateo; è piuttosto un imparare a vivere nella libertà del dono. A cominciare dalla  famiglia, s'impara a dire grazie, dal momento che "familia est seminarium rei pubblicae", come diceva Cicerone. Proprio la famiglia dovrebbe vivere come una realtà allargata, aperta alle altre famiglie nella creazione di lavoro per tutti, nella ricerca di un'educazione migliore, ...L'utile allora non verrebbe bandito, piuttosto sarebbe ricevuto come dono della sovrabbondanza dell'amore...Come non c'è opposizione tra diritto e gratitudine, non ci sarebbe neppure conflitto tra il dono e l'utile. Quando cerco il bene dell'altro ed il mio stesso bene, l'utile viene elargito in sovrabbondanza a me e a lui.  il don

martedì 8 gennaio 2013

scienza e coscienza

Un'affermazione di Rita Levi Montalcini, cioè "non si può prevedere le conseguenze della scoperta scientifica (la bomba atomica)", mi ha rafforzato nella convinzione di quanto poco la  coscienza sia oggi considerata rispetto alla scienza. Non si può dire, come lei ha affermato,  che gli scienziati americani ed ebrei non potevano prevedere la scoperta della bomba atomica e l'uso che se ne sarebbe fatto. Bisognerebbe ammettere che ci fu una rottura nella comunità scientifica internazionale: Heisemberg e altri fisici a Lipsia lavorarono alla realizzazione della pila atomica, ritardando i lavori per non consegnare a Hitler la bomba atomica; invece in America i fisici lavorarono per costruire di proposito la bomba atomica e consegnarla al governo americano. Scusare quegli scienziati per non averne previsto gli esiti guerrafondai sarebbe come dire che le Crociate avevano il buon fine di conquistare i luoghi santi, pazienza se avessero fatto dei morti (come se questa seconda cosa non doveva esser presa in considerazione!). Il fine non potrebbe mai giustificare il mezzo di uccidere persone umane. In secondo luogo il padre Teilhard de Chardin, con molta onestà intellettuale, affermava che l'essere umano si distingue da ogni altro essere animato perchè la coscienza umana è capace di previsione, perciò quanto più crescono le scoperte scientifiche tanto più deve affinarsi la coscienza per discernere il giusto dall'ingiusto.  Per rimanere nella sfera del diritto : ogni atto, individuale o collettivo, deve rispondere alla comunità umana; c'è un tribunale della comunità internazionale di fronte al quale si deve rispondere (e nessuno può esserne esente, neppure la prima potenza mondiale o lo stato di Israele suo alleato). Rita Levi Montalcini non me ne voglia: ora che lei è nel regno della verità, potrà comprendere meglio quelle parole del Cristo "la verità vi farà liberi", perchè  la verità ci libera anzitutto dalla schiavitù della menzogna o dell'errore che non si vorrebbe ammettere. il don

lunedì 7 gennaio 2013

la ferita e la cura

"Unde vulneratus fueras, inde curare" ("Fa' che ciò che ti ferì divenga la tua cura") (vedi Migne, Patrologia latina, 4:649; lo scritto di Cipriano "De zelo et livore") così scriveva Cipriano di Cartagine in un latino che ritrovava la disciplina non solo nell'espressione linguistica, ma anzitutto nell'agire compassionevole. Di fronte alla ferita derivata dal male, sarebbe meglio dire del peccato in quanto riconoscimento del male, non servirebbe la ritorsione violenta contro il nemico che quel male ha procurato, fosse pure il diavolo. Se la misericordia di Dio cura e guarisce la colpa dell'uomo, allora l'uomo stesso ha un unico modo per vincere la colpa: riconoscendosi bisognoso di cura e di guarigione, egli deve aiutare il nemico a diventare amico di Dio; ancora deve aiutare il nemico dell'uomo a divenire suo amico. Se l'ira ha creato un conflitto insanabile tra te e l'altro, fa sì che la mitezza ricrei la pace tra te e lui. Se l'orgoglio o la superbia ha offuscato il tuo sguardo, fa in modo che l'umiltà ti tolga dalla nebbia e tu veda sereno come in una giornata di sole e tramontana. Se l'ambinazione ti ha portato lontano da te stesso, riavvicinati a te stesso servendo il tuo prossimo. Se Dio era per te un'idea lontana e astratta, digli che ti doni la fede-fiducia perchè possa avere con Lui una relazione come tra due innamorati!  il don

sabato 5 gennaio 2013

il fronte della coscienza

I cinque discorsi che Martin Luther King pronunziò nel 1967, furono pubblicati nel 1968 in Italia, con il titolo "Il fronte della coscienza",  dalla SEI, un'editrice attenta al cambiamento nel mondo giovanile. Martin Luther King continuava in America la lotta non-violenta contro l'ingiustizia e la discriminazione che Gandhj aveva condotto in India. Il terzo discorso tratta il tema "I GIOVANI E L'AZIONE SOCIALE"; si dice con chiarezza estrema :"Questa generazione di giovani non è impegnata soltanto in una guerra fredda contro la generazione precedente, ma in una guerra contro i valori esistenti nella società in cui essa si sviluppa" (p.62). Era la "vuotezza spirituale della società contemporanea" (p.61) che la gioventù degli anni Sessanta contestava. Ancora più avanti in questo discorso c'è una nota che risulta di grande attualità nell'oggi :"Nulla nella nostra tecnologia scintillante potrà mai alzare l'uomo a nuove altezze, perchè il progresso materiale è divenuto fine a se stesso, e se manca un fine morale l'uomo diventa sempre più meschino man mano che il prodotto della sua scienza diventa più mastodontico. E c'è un secondo pauroso difetto nella rivoluzione tecnologica in atto ai nostri giorni: invece di rafforzare la democrazia, aiuta a distruggerla. Una industria ed un governo di proporzioni gigantesche, polarizzate attorno ad un cervello elettronico, isolano la persona umana, che si sente incapace di partecipare ancora attivamente, e dispera di poter influenzare le decisioni più importanti con la propria personalità" (p.71). U. Galimberti sostiene che la tecnica ha raggiunto una tale potenza da mutare di qualità il cambiamento quantitativo: così ci troveremmo nuovamente ad essere dominati dalla Necessità (Ananche) del Fato greco. Ma non si può far finta che il Cristianesimo non ci sia stato e che la libertà di spirito che Esso ha fatto maturare in venti secoli di storia (pur in mezzo alle contraddizioni e involuzioni) ha offerto all'Occidente lo slancio per le rivoluzioni e le scoperte scientifiche, fosse pure in modo indiretto. La libertà e la fraternità non sono ancora un sogno per l'Asia e per l'Africa, come invece sono diventate il sogno dell'America, sia pure non ancora raggiunto. Ma l'Europa tornerà ad esprimere un nuovo umanesimo: tornerà a dire al mondo che la crescita spirituale è radice di quella materiale, e la fraternità vissuta è in grado di creare più uguaglianza. Il pensiero cristiano prese il meglio dal pensiero greco, che aveva ormai esaurito il suo compito; ne fu la continuazione ed il compimento. Ma l'evento cristiano diede il via ad un nuovo itinerario della storia: neppure le crociate, l'inquisizione ed il potere temporale riuscirono a fermare la forza travolgente del Vangelo! La coscienza che noi oggi abbiamo della storia non si spiega senza lo spirito cristiano : come diceva il padre Teilhard de Chardin, il cristianesimo ha sempre anticipato i tempi, poichè Esso è sempre all'avanguardia, mai si attarda nella retroguardia.  il don

venerdì 4 gennaio 2013

famiglia comunità d'amore

"Famiglia comunità d'amore" è il titolo di uno degli innumerevoli libri di Igino Giordani. Già nelle prime pagine  viene  delineato "il mistero della famiglia" : questo richiamo non è superfluo, se si considera la tendenza contemporanea a parlare di ogni cosa  in termini naturali, escludendo il soprannaturale dall'umano. Ma come dice Paolo apostolo : "L'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio.....L'uomo spirituale giudica ogni cosa...." (1 Cor. 2,14-15). Il giudizio dipende sempre dalla profondità o meno dell'esperienza che si compie. La famiglia, chiesa domestica, deve saper mostrare l'unità che è frutto dell'amore che in essa si vive. Genitori e figli, perciò, non potranno vivere soltanto di lavoro e studio, di preoccupazioni economiche  e divertimento; dovranno riscoprire ogni giorno l'efficacia e la fecondità della preghiera, della meditazione, per rifare nuove le relazioni quotidiane. Igino Giordani parla, in una meditazione di questo libro, dell'educazione come di un "fuoco da accendere". Cito: "Bisogna educare i bambini a formarsi una coscienza; educarli quindi alla libertà e alla responsabilità,; prepararli alla convivenza , che esige riconoscimento dei diritti e bisogni degli altri. Il Vangelo insegna ad educare ogni creatura alla giustizia, all'amore, al lavoro, alla solidarietà e all'onestà. Non alla guerra, all'aggressione, all'invidia. Nel bambino bisogna vedere Gesù" (p.55). Famiglie insieme a Messa possibilmente, invece di scompaginare la famiglia con : una Messa per i fanciulli, una Messa per  i giovani, una Messa per gli adulti... L'Eucaristia, che produce come effetto proprio l'unità, può rifare la vita cristiana proprio a partire dalla famiglia, che è la prima educatrice alla vita del Vangelo. Giordani dice la famiglia "chiostro nel mondo" (p.86) : non siano più considerati i laici proletari nella chiesa. E cita s. Giovanni Crisostomo che diceva : "Ecco la grande piaga dei nostri tempi: credere che la lettura del Vangelo sia riservata solo ai religiosi e ai monaci, mentre siete voi, più di loro, ad averne maggiormente bisogno" (p.86). Dovevano venire i buddisti in Italia, perchè qualcuno riscoprisse il buono e l'utile della meditazione! Dovevamo vedere musulmani in ginocchio nei luoghi pubblici e in diverse ore del giorno, per ricordarci che il lavoro senza preghiera è "schiavitù e merce di scambio"! L'amore immette nel lavoro e nella famiglia il senso del dono ed il servizio : e rifà nuove le relazioni".   il don