mercoledì 31 ottobre 2012

Viaggio alle catacombe

Questo viaggio alle catacombe di Roma non può non iniziare con una dedica a Rondine Allegra. Con lui era nata questa iniziativa. Si ricomincia a "fare strada", cercando nell'incontro con questi cristiani dei primi secoli la passione di vivere per un ideale grande e del volersi bene che il mondo non conosce. Le catacombe di s. Callisto e di s. Sebastiano sono sulla via Appia antica, la "regina viarum", la più antica autostrada, costruita intorno al 300 a.C. dall'ingegnere Appio Claudio, autore anche dell'acquedotto romano che porta il suo nome. Intorno al 190, l'Appia antica ha raggiunto Brindisi, dopo aver collegato a Roma, Capua, Benevento,  Venosa e Taranto. Qualche notizia storica sulle catacombe: intorno al 200 d.C. papa Zefirino  incarica il diacono Callisto di curare la manutenzione del primo cimitero cristiano. Queste sepolture sotterranee erano fuori delle mura della città, come stabilito già nel V° secolo a.C. dalla legge delle XII Tavole. Intorno al 300 papa Damaso cerca di recuperare le tombe dei martiri con lo scopo di diffondere la venerazione per gli eroi della fede; ma nelle catacombe erano sepolti anche cristiani deceduti di morte naturale. Nella prima metà del 400, Roma viene saccheggiata prima dai Goti e poi dai Vandali; i cimiteri non vennero toccati, ma iniziò ugualmente un periodo di abbandono. La fede, l'arte e la storia a  Roma sono di casa. New York è una città tutta moderna; Parigi fu fondata dai Romani, dopo che le legioni erano giunte in Gallia; Londra conserva vestigia medievali, ma quasi niente di antico. Roma conserva almeno 2500 anni di storia e di arte:  quando l'impero iniziò il declino, la città eterna trovò nel cristianesimo il proprio futuro, fece una scelta che le consentì non solo di sopravvivere ma di continuare ad essere una protagonista in Europa e nel mondo. Alla potenza delle legioni e del commercio, subentrò la progettazione culturale e spirituale, e ciò la fece nuovamente grande. Noi facciamo ancora parte di questa storia che ci proietta nel futuro. il don

martedì 30 ottobre 2012

Sulla meditazione

Sull'importanza della meditazione, per la crescita personale e relazionale, convergono spiritualità e filosofia. Imparare a fare il vuoto è ciò che i filosofi stoici e poi Husserl hanno indicato come "epochè" (sospensione di giudizio), disfarsi delle idee. M. Montanari, in "La filosofia come cura", riporta questa comunicazione di un maestro zen sulla meditazione:"La meditazione investiga, esplora, svela e illumina ciò che è nascosto dentro di noi e attorno a noi. E' un'espereinza contemplativa, introspettiva, che ci aiuta a risvegliarci dai sogni e dalle illusioni sulle cose...Grazie alla meditazione possiamo partecipare direttamente alle nostre esperienze in modo più intimo e immediato, riuscendo ad avere un approccio semplice ed un rapporto più profondo e più autentico con la vita". La meditazione fa crescere la consapevolezza e l'autocoscienza: smaschera le idee fondate sulla paura, i tentativi di fuga dalla realtà, le illusioni che rincorriamo; in positivo aiuta ad agire sui pensieri e sulle emozioni. Un altro maestro tibetano insegna l'arte di vivere felici attraverso la meditazione, che "è proprio come il vivere ed il morire: nessuno può prepararti all'evento, impari mentre vai avanti. Tutto ciò che ti serve è il coraggio di iniziare" (citato da Montanari in La filosofia come cura, 52). Thomas Merton, che pure coltivava il dialogo col buddismo, raccomandava ai cristiani la meditazione, per diventare più consapevoli della propria esistenza, per liberarsi dal conformismo dei modelli dominanti, per non lasciarsi dominare dal consumismo che riduce a cose i rapporti tra le persone. Per il cristiano, la meditazione sul Vangelo è una continua sfida a fidarsi della Parola di Gesù, a non mettere il dubbio su di essa, a sperimentare la trasformazione interiore e relazionale che Essa produce. Con la meditazione quotidiana s'impara anche a rendere più autentiche le relazioni tra persone: l'ascolto profondo dell'altro e la comunicazione di un vissuto spirituale; l'uno e l'altra preparano il "vivere insieme" ed il progettare insieme. La meditazione è il cominciamento di un viaggio, non la sua fine.  il don

lunedì 29 ottobre 2012

esperienza e testimonianza

Sull'esperienza non si può barare: per essere valida dev'essere accompagnata dalla testimonianza. Il tedesco ha due termini per dire esperienza: il primo è Erfarung (esperienza in genere); il secondo è Erlebnis (esperienza spirituale). Se per la prima espressione di esperienza può bastare una testimonianza esteriore o di una singola persona o della comunità; per la seconda, oltre alla testimonianza esteriore, occorre anche quella interiore. Il termine col quale il greco dice la testimonianza è "marturia", che in italiano ha dato vita al termine "martirio", cioè "dare la vita". In un certo senso si potrebbe dire che non c'è martirio, ossia dono della vita, se interiore ed esteriore non abbiano fatto un tuttt'uno. L'esperienza spirituale non può non essere trasparente: in questo sta la sua autenticità, rispetto all'esperienza in genere che può essere anche inautentica, e molto spesso lo è, per il fatto che fa conto più dell'esteriore che dell'unità tra il "vivere dentro" e il vivere fuori. L'esperienza comune utilizza molto il pregiudizio: perciò il confronto con altre esperienze finisce spesso nel conflitto, nel non-incontro. L'esperienza spirituale fa leva sulla pre-comprensione: perciò suscita la compassione.
L'esperienza ha acquistato sempre più rilevanza in filosofia, nella spiritualità (grazie ai mistici, soprattutto), un pò in tutte le scienze umane (psicologia, sociologia, ...). Nella vita cristiana si parla sempre più di : esperienza di preghiera, esperienza di comunità, esperienza della Parola, esperienza di Dio. Naturalmente l'autenticità di un'esperienza dev'essere verificata: la testimonianza dice l'effetto prodotto dall'esperienza. La pressione culturale che il nostro tempo esercita sulle persone è data dall'eccessiva importanza che assegna all'esteriore: l'effetto immediato, l'effetto che fa presa, l'effetto visibile; non importa poi se questo effetto crea conformismo, aggressività, violenza nelle relazioni. La cura dell'interiorità spazia sui tempi lunghi e chiede: lealtà, mitezza, unità della persona per giungere all'unità tra le persone. Quando l'interiorità cresce in profondità e in altezza, allora può testimoniare dell'autenticità dell'esperienza. il don

sabato 27 ottobre 2012

l'atto di guerra e l'atto di fede...

Una cosa è l'atto di fede; un'altra cosa è l'atto politico; un'altra cosa ancora è l'atto morale. Per comprendere, ecco un esempio. Nel secolo scorso, quando scienziati ebrei, come Einstein, Fermi, ecc. si rifugiarono negli Stati Uniti, per la persecuzione che in Europa imperversava contro gli ebrei, e costruirono la bomba atomica su richiesta del governo americano, compirono un atto politico, si può dire, di legittima difesa, ma dal punto di vista morale commisero una colpa, che avrebbe gravato perennemente sul futuro dell'umanità. Heisemberg e gli scienziati tedeschi a Lipsia continuarono a lavorare, intorno al progetto "uranio", ma orientando la ricerca nella costruzione della pila atomica, non della bomba atomica. Questi ultimi riuscirono a creare una convergenza tra atto morale e atto politico: sarebbe stato un suicidio dell'umanità consegnare a Hitler la bomba atomica; perciò la loro ricerca fu più lunga ed elaborata di quella dei colleghi americani. Che cosa creò, negli scienziati americani, la divergenza tra atto morale e atto politico? La perdita della fiducia, potremmo anche dire, la mancanza di fede. Poichè l'atto di fede, o della fede-fiducia, non dovrebbe mai porre il dubbio sul legame d'amore che unisce tutti gli esseri umani; come l'atto di fede in Dio non può mai dubitare della sua Parola. Inoltre occorre dire che la difesa, sia pure quella legittima, sarà sempre qualcosa di meno di quell'atto di fede che diviene atto d'amore nel "dare la vita" all'altro, invece di toglierla. Heisemberg e gli scienziati tedeschi rischiarono la sconfitta del proprio paese, ma non vennero meno al doppio principio di lealtà verso la comunità scientifica internazionale e verso l'umanità. In un certo senso ottennero la ricompensa, perchè la bomba atomica non fu usata dal governo americano contro la Germania. L'atto di fede è sempre anche un atto d'amore : e alla richiesta di pace risponde con la pace. L'atto di guerra è sempre una mancanza di fede e d'amore: ciò che provoca è lo scompiglio nelle relazioni. Fidarsi della Parola non è solo fare del bene all'altro; è fare anche il proprio bene. il don
 
 

domenica 21 ottobre 2012

dalla cura dell'anima alla consulenza filosofica

La "Consolatio philosophiae" di Boezio è dei primi decenni del VI° secolo: la filosofia è vista come cura dell'anima, cioè intende curarne la malattia. Non ci si accontenta di parlare di quelle malattie che possono essere guarite con le erbe. Si parla quì di quella malattia mortale, che per essere guarita ha bisogno di una cura radicale. Si deve scegliere tra il "regno di Dio" e il regno di questo mondo. Agostino aveva narrato in precedenza, nelle "Confessioni",  l'esperienza del retore Vittorino, maestro a Roma di molti illustri senatori, il quale tergiversava nel fare la sua pubblica "confessio fidei"; il presbitero Simpliciano lo incalzava con pazienza, ma senza fargli violenza o pressione, sino a quando Vittorino decise di riconoscere pubblicamente "il regno di Dio" superiore al regno di questo mondo. La fede cristiana è la scelta della patria: guarisce perciò  la malattia mortale, che è proprio il vivere per questo mondo. Boezio lo dice molto bene, egli che era stato intellettuale e politico: la felicità in questo mondo è un'illusione. Si trastullino pure nel male coloro che amano questo mondo, ma non avranno mai una felicità duratura, anzi prima o poi ne resteranno delusi.
Interessante è un certo ritorno della filosofia contemporanea alla "pratica filosofica", alla "consulenza", persino ad un uso "terapeutico" della filosofia. Interessante per l'obiettivo che si pone : affrontare i problemi della vita con la conoscenza delle teorie filosofiche; interessante anche per il metodo che segue: nell'incontro personale tra consulente e consultante affrontare problemi personali non risolti, attraverso il richiamo alle domande più ancora che alle risposte che i filosofi hanno posto.  C'è in questo una rivalutazione dell'incontro personale, che trova per esempio un corrispettivo nel campo della pratica spirituale: la riscoperta degli "esercizi spirituali" personalizzati, praticati da s. Ignazio e che alcuni gesuiti stanno riportando in auge con profitto. Montinari parla ai nostri giorni della "filosofia come cura": il che significa  riconoscere che c'è una grave malattia da diagnosticare, per trarne una valida terapia. Dopo che una certa pratica psicoanalitica e psicologica ha dirottato l'anima e la mente sui sensi di colpa, rimuovendo l'esistenza della "colpa ontica", ora possiamo tornare a parlare con Kierkegaard di "malattia mortale". La terapia che il filosofo danese proponeva era molto semplice ma impegnativa: il mondo moderno non ha tanto bisogno di un genio ( ce ne sono troppi di geni che fanno guai) quanto di un testimone. Il genio è troppo spesso un esaltato che fa pagare ad altri il proprio narcisismo (di un Superio fortemente e nascostamente aggressivo; il testimone è sempre un umile operaio che non lavora mai solo per se stesso. il don

sabato 20 ottobre 2012

In dialogo intorno a salvezza e santità

Il libretto di Sergio Quinzio "La sconfitta di Dio" è un' interessante riflessione e ancor di più una profonda meditazione intorno alle promesse di salvezza da parte di Dio. "Il fallimento della salvezza è il fallimento stesso di Dio. Ma la storia di Dio è, fin dalla prima pagina della Bibbia, una storia di sconfitte" (p.39). Vorrei rifare la domanda : è sconfitta di Dio o è sconfitta dell'uomo? Perchè è chiaro che ci troviamo di fronte al mistero, non di fronte all'assurdo, quando parliamo di Dio e anche quando parliamo dell'uomo. Lasciamo a Dio che dica di se stesso chi sia; a noi uomini resta il fatto che non riusciamo a dire con chiarezza e distinzione chi siamo, e perchè siamo e non siamo. Voglio dire che la sconfitta dell'uomo è più evidente di quella di Dio, ammesso che si possa parlare di "una sconfitta di Dio" ( per esserne certi dovremmo interrogarlo in che cosa consista la sconfitta o la vittoria). Il fallimento di Dio, dice Sergio Quinzio, sarebbe nella sua colpa: aver creato un mondo ingiusto e non aver saputo liberare la storia umana dal male dell'ingiustizia. La colpa dell'uomo sarebbe meno grave di quella di Dio, dal momento che ha ricevuto un mondo limitato e ingiusto e nella storia non ha saputo porvi rimedio se non in piccola misura.
Proporrei di distinguere tra salvezza (creazione-redenzione) che appartiene a Dio (è una sua prerogativa) e la santità (che è il fine dell'uomo). Dice Quinzio che Dio mostra di essere debole, più che onnipotente: Egli fallisce quando si mostra buono, invece appare onnipotente  quando utilizza la violenza e la distruzione. La "mancata venuta del regno di Dio" a cosa sarebbe dovuta? Alla mancanza della sua onnipotenza oppure alla sua estrema bontà che lascia l'uomo libero  di divenire pio o di rimanere non pio? E' chiaro che la questione della santità si mostra più urgente e prioritaria rispetto alla salvezza: Dio non può salvare se non l'uomo non diviene santo. Il peccato dell'uomo è ancora al centro della questione della salvezza. La sconfitta dell'uomo sta ancora nel suo peccato, poichè egli è incapace di vincerlo. Senza la Grazia, egli continuerebbe ad essere Pelagio, non diverrebbe mai Agostino: il "doctor gratiae" divenne tale quando cominciò a vivere e a comprendere la differenza tra la virtù naturale e la virtù teologale. Dio salva la persona, la storia e la comunità quando l'essere umano intraprende un percorso di santità. Dio indica le regole e offre l'orientamento; all'uomo viene chiesto di abbandonarsi al suo amore piuttosto che fermarsi al proprio giudizio e al ragionamento, giusto o ingiusto che sia. Giobbe ha ricevuto da Dio la salvezza perchè giusto (come Dio stesso ha detto). Ma andiamo al Vangelo: Zaccheo, il ladro pentito ("due volte ladro", dirà Agostino), la samaritana, la donna adultera, ricevono la salvezza da peccatori, non da giusti.  Quando si ragiona o quando si ascolta la propria coscienza,  bisognerebbe saper discernere chi è che parla: Dio o Satana. Perchè Satana è l'ingannatore e l'accusatore; Dio è il difensore ed il rivelatore della verità all'uomo. Non bisogna sottovalutare la potenza di Satana : è meno di Dio, poichè non è come Dio onnipotente; ma è più dell'uomo, poichè è spirito di luce (Lucifero). Siamo ancora nel libro di Giobbe. Se avanziamo verso Gesù ed il Vangelo, scopriamo una relazione del tutto nuova tra peccato e grazia: non è più richiesta la giustizia rispetto alla legge, ma il riconoscimento del peccato che viene sanato dall'amore di Dio. Il regno di Dio non può venire sulla terra (non possiamo essere impazienti nell'attesa) senza che da parte dell'umanità ci sia una tensione a rendere santa la vita,  la storia e la comunità. Il destino dell'essere umano è legato al destino di Dio: o si vince insieme o insieme si perde!   il don

giovedì 18 ottobre 2012

Vangelo e storia

Martino, nato in Pannonia intorno al 316, eletto vescovo di Tours nel 372. E' stato colui che ha evangelizzato la Gallia. Il suo biografo, Sulpicio Severo, dice che era considerato "un personaggio spregevole, ed era indegno dell'episcopato un uomo dall'aspetto miserando, dal sordido abbigliamento, dalla capigliatura arruffata". Martino era stato dapprima un soldato e poi monaco; aveva fondato e diffuso il monachesimo in Gallia, e volle che anche lì, come altrove, l'istituzione monastica servisse ad un fine dottrinale, cioè fosse la roccaforte in difesa dell'ortodossia. La sua forza era vivere il Vangelo: da soldato aveva condiviso il mantello con un povero, da vescovo si mostrò mite verso i peccatori e gli eretici che si pentivano. Con l'imperatore Massimo, l'usurpatore di Graziano, Martino si mostrò invece forte: chiese e ottenne da Massimo, in una certa misura, la clemenza verso coloro che avevano combattuto a fianco di Graziano. Mentre altri vescovi si erano piegati all'adulazione e all'asservimento dell'usurpatore Massimo, Martino conquistò l'animo del nuovo imperatore più col distacco che altri col servilismo. L'abbazia di Marmoutier, a tre chilometri da Tours, conobbe un'intensa vita culturale, divenendo famosa come centro specializzato nella redazione di manoscritti. Martino aveva compreso che il monachesimo non poteva essere soltanto luogo di pratica evangelica; dal suo interno doveva irradiarsi l'evangelizzazione del mondo circostante. Fu tentato sopratutto dall'adulazione e dalle lusinghe dell'imperatore, ma  attento sempre ad un accurato esame della propria coscienza, mostrò di essere distaccato dal proprio interesse, prodigo di perdono verso i nemici; e pur esponendosi ai colpi con mitezza, non mancò di fermezza nella difesa della verità cristiana. Poveri furono la tavola e l'abbigliamento, ricca la sua sapienza. il don

mercoledì 17 ottobre 2012

Il Cristianesimo devastato dai Vandali

In Oriente la verità cristiana si affermò sull'Arianesimo grazie alla forza della predicazione; in Africa fu estirpata dalla spada dei Vandali; a Roma la vera fede conobbe una continua espansione grazie al martirio di migliaia di cristiani.
Quanto più il destino di una persona si lega al destino della chiesa, tanto più un'energia divina sorregge l'una e l'altra: la promessa del "non prevalebunt" si realizza nella storia della chiesa come nella storia personale di ogni cristiano. 
Così Newman, in "La chiesa dei Padri", narra la fine di Agostino e la fine della chiesa in Africa: "Sebbene i vandali avessero fallito il primo attacco ad Ippona, nel corso dell'ultima malattia di Agostino, lo rinnovarono poco tempo dopo la sua morte in circostanze più favorevoli. Bonifacio (il governatore romano) fu sconfitto sul campo e dovette ritirarsi in Italia; gli abitanti d'Ippona abbandonarono la città. I vandali irruppero e diedero fuoco (alla città), eccezion fatta per la biblioteca di Agostino, che fu provvidenzialmente salvata. La desolazione che a quell'epoca si diffuse in tutta l'Africa fu completata dalla successiva invasione dei saraceni. Le sue cinquecento chiese ora non esistono più.   Ma........non teme la distruzione da parte dei barbari o degli eretici colui la cui fede è destinata a durare per sempre".
A Roma, la capitale dell'impero, la vera fede conobbe una continua  espansione grazie alla testimonianza dei martiri, che non ebbero paura di sacrificare la propria vita per la Parola (il Logos - il Verbum) vivente. Da veri discepoli di Cristo avevano visto il futuro della storia di Roma: mentre l'impero declinava e moriva, una storia nuova si affermava e ne continuava la gloria antica. I cristiani di Roma non disprezzarono il paganesimo delle virtù, la pietà, il coraggio, il diritto, la laboriosità; capirono però che il cristianesimo ne prendeva il posto perchè portava un'energia divina molto più grande. Anche in Africa il cristianesimo tornerà glorioso, quando si spegnerà il risentimento per il colonialismo europeo, e gli africani non si appoggeranno più all'assistenzialismo europeo, ma faranno conto soltanto sulla Parola del Vangelo, come fecero Cipriano, Agostino, Felicita e Perpetua.   il don

La fede-fiducia nella Parola

"Alla Parola soltanto rimango attaccato, come servitore della Parola, ... la onoro, la prediligo e me ne rallegro più di tutte quelle cose insieme di cui la folla è solita rallegrarsi. La rendo partecipe di tutta la mia vita, ne faccio un buon consigliere ed un buon compagno, una guida per la strada che conduce in alto...Grazie alla Parola freno l'ira che trasporta, placo l'invidia che logora, faccio cessare il dolore che incatena il cuore, modero il flusso del piacere, stabilisco una misura all'odio, ma non all'amicizia...
Essa mi rende parco quando ho abbandonza di mezzi e magnanimo quando sono povero; essa mi persuade a correre insieme a colui che procede celermente, a tendere la mano a chi cade, ad essere debole con chi è debole, e a rallegrarmi con chi è forte. Insieme a lei, patria e terra straniera sono la stessa cosa per me...".
Questo brano dell'Orazione VI di Gregorio di Nazianzo potrebbe riassumere il disegno della sua vita: Newman ha detto che sono bastati tre anni, quelli nei quali Gregorio di Nazianzo fu vescovo a Costantinopoli, la metropoli eretica che egli riconquistò all'ortodossia, per esprimere la chiamata per la quale era nato; gli anni che vengono prima e quelli che verranno dopo sono oscuri e nascosti.
La riflessione che s'impone è questa, dice Newman: "in quanto breve tempo gli uomini portino a compimento l'opera che è, per così dire, il fine per il quale sono nati e che contrassegnerà i loro nomi di fronte ai posteri" (Newman, in La Chiesa dei Padri. Profili storici).
Cosa chiede la Parola? Di non essere attaccato ad una poltrona o ad una sedia; di sintirsi libero sempre e a disposizione della Parola; di lasciarsi infuocare dalla Parola, anche quando il peccato ha tentato di spegnere il fuoco; di non cercare il proprio volere e neppure il volere di un altro, fosse pure l'amico, ma soltanto il volere della Parola. Di non porre il dubbio sulla Parola del Vangelo, accettando e condividendo altre parole.
Di quale Parola fidarsi ciecamente? Di quella che dice di "dare la vita". Ora posso dire a Dio: Tu perdonerai il mio peccato, poichè ho provato a "dare la vita" per la tua Parola!         il don
 

mercoledì 10 ottobre 2012

Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur.

"Dum Romae consulitur, Saguntum espugnatur". Il contenuto storico di questa espressione rimanda alla relazione, in quel caso non sincronizzata, tra strategia
politica ( la decisione che doveva esser presa dal Senato di Roma) e strategia militare
(l'esercito  romano che avrebbe dovuto difendere Sagunto). Se dalla lotta militare ci spostiamo sul versante culturale e spirituale, notiamo che è valido lo stesso insegnamento:  per vincere, occorre la tempestività nella decisione,  non di un dittatore
ma dei "patres conscripti", i quali devono sì consultarsi ma subito operare la scelta.
Una strategia vincente sul piano culturale e spirituale richiede alcune condizioni: la situazione sia esaminata in tutta chiarezza e sincerità (nulla venga nascosto, neppure ciò che potrebbe sembrare uno scacco); tutti vengano ascoltati (chi vota pro e chi vota contro) con attenzione, poichè ognuno offre un contributo importante per la conoscenza completa della situazione; la discussione però non dev'essere portata per  le  lunghe, dal momento che una decisione tempestiva può in effetti salvare una situazione critica. Perchè la discussione spesso la si porta per le lunghe? Perchè ognuno difende un  proprio interesse particolare e non intende cedere in nulla. Se la discussione nel Senato di Roma non si fosse protratta in lungaggini e interessi di parte, e se la decisione fosse stata più tempestiva, forse Sagunto sarebbe stata ben difesa e avrebbe pututo reggere all'attacco  nemico. Cultura e spiritualità, analogamente, sono due campi d'azione che richiedono ascolto e approfondimento: ma il discernimento deve condurre subito alla decisione, alla scelta, o sarebbe ancora meglio dire, all'elezione. Ignazio di Lojola, quando parlava di discernimento, ha enucleato il problema della scelta in un compendio estremamente significativo: io posso scegliere ( senza  ombra di dubbio) quando Dio sceglie.  il don