sabato 20 ottobre 2012

In dialogo intorno a salvezza e santità

Il libretto di Sergio Quinzio "La sconfitta di Dio" è un' interessante riflessione e ancor di più una profonda meditazione intorno alle promesse di salvezza da parte di Dio. "Il fallimento della salvezza è il fallimento stesso di Dio. Ma la storia di Dio è, fin dalla prima pagina della Bibbia, una storia di sconfitte" (p.39). Vorrei rifare la domanda : è sconfitta di Dio o è sconfitta dell'uomo? Perchè è chiaro che ci troviamo di fronte al mistero, non di fronte all'assurdo, quando parliamo di Dio e anche quando parliamo dell'uomo. Lasciamo a Dio che dica di se stesso chi sia; a noi uomini resta il fatto che non riusciamo a dire con chiarezza e distinzione chi siamo, e perchè siamo e non siamo. Voglio dire che la sconfitta dell'uomo è più evidente di quella di Dio, ammesso che si possa parlare di "una sconfitta di Dio" ( per esserne certi dovremmo interrogarlo in che cosa consista la sconfitta o la vittoria). Il fallimento di Dio, dice Sergio Quinzio, sarebbe nella sua colpa: aver creato un mondo ingiusto e non aver saputo liberare la storia umana dal male dell'ingiustizia. La colpa dell'uomo sarebbe meno grave di quella di Dio, dal momento che ha ricevuto un mondo limitato e ingiusto e nella storia non ha saputo porvi rimedio se non in piccola misura.
Proporrei di distinguere tra salvezza (creazione-redenzione) che appartiene a Dio (è una sua prerogativa) e la santità (che è il fine dell'uomo). Dice Quinzio che Dio mostra di essere debole, più che onnipotente: Egli fallisce quando si mostra buono, invece appare onnipotente  quando utilizza la violenza e la distruzione. La "mancata venuta del regno di Dio" a cosa sarebbe dovuta? Alla mancanza della sua onnipotenza oppure alla sua estrema bontà che lascia l'uomo libero  di divenire pio o di rimanere non pio? E' chiaro che la questione della santità si mostra più urgente e prioritaria rispetto alla salvezza: Dio non può salvare se non l'uomo non diviene santo. Il peccato dell'uomo è ancora al centro della questione della salvezza. La sconfitta dell'uomo sta ancora nel suo peccato, poichè egli è incapace di vincerlo. Senza la Grazia, egli continuerebbe ad essere Pelagio, non diverrebbe mai Agostino: il "doctor gratiae" divenne tale quando cominciò a vivere e a comprendere la differenza tra la virtù naturale e la virtù teologale. Dio salva la persona, la storia e la comunità quando l'essere umano intraprende un percorso di santità. Dio indica le regole e offre l'orientamento; all'uomo viene chiesto di abbandonarsi al suo amore piuttosto che fermarsi al proprio giudizio e al ragionamento, giusto o ingiusto che sia. Giobbe ha ricevuto da Dio la salvezza perchè giusto (come Dio stesso ha detto). Ma andiamo al Vangelo: Zaccheo, il ladro pentito ("due volte ladro", dirà Agostino), la samaritana, la donna adultera, ricevono la salvezza da peccatori, non da giusti.  Quando si ragiona o quando si ascolta la propria coscienza,  bisognerebbe saper discernere chi è che parla: Dio o Satana. Perchè Satana è l'ingannatore e l'accusatore; Dio è il difensore ed il rivelatore della verità all'uomo. Non bisogna sottovalutare la potenza di Satana : è meno di Dio, poichè non è come Dio onnipotente; ma è più dell'uomo, poichè è spirito di luce (Lucifero). Siamo ancora nel libro di Giobbe. Se avanziamo verso Gesù ed il Vangelo, scopriamo una relazione del tutto nuova tra peccato e grazia: non è più richiesta la giustizia rispetto alla legge, ma il riconoscimento del peccato che viene sanato dall'amore di Dio. Il regno di Dio non può venire sulla terra (non possiamo essere impazienti nell'attesa) senza che da parte dell'umanità ci sia una tensione a rendere santa la vita,  la storia e la comunità. Il destino dell'essere umano è legato al destino di Dio: o si vince insieme o insieme si perde!   il don

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