venerdì 13 ottobre 2017

Gioco di squadra!

Per raggiungere un obiettivo o un risultato non c'è metodo migliore del gioco di squadra.
Ma questo gioco dev'essere sincero, trasparente, composto di tante competenze, che ognuno mette a disposizione della squadra.      Il tornaconto individualistico deve rimanere fuori, se non si vuole che tutto rimanga bloccato.  Ognuno deve esser pronto a perdere qualcosa, perché il guadagno possa essere ottimizzato e ognuno possa guadagnare senza che sia a scapito di altri.
Accettare la sfida della perdita grave  e del massimo guadagno è un'operazione al di là della matematica : chiede di rimettere in gioco la propria vita guardando al bene dell'altro, per non rimanere prigionieri del proprio misero tornaconto.
La sfida, di questi tempi, è un ideale dimenticato: era un compito dei padri, al quale hanno rinunciato per accontentarsi di un più misero "mammo", ossia di "un padre maternizzato", presente - accogliente e capace di cura sì nei confronti dei propri figli, ma non più in grado di trasmettere loro l'ideale della sfida     ( = mostrare una vetta da raggiungere) e la lotta richiesta per superare la sfida. Le mamme hanno svuotato la funzione paterna più importante, costringendo psicologicamente i loro uomini a diventare "evaporati, evanescenti", meschine imitazioni della figura femminile.  Non è ora di  fare una verifica e cambiare rotta?   il don

lunedì 9 ottobre 2017

La crisi

La crisi è il risultato dello spreco, non della sobrietà. Tant'è vero che i poveri, per la solidarietà, sono riusciti a superarla meglio dei ricchi, i quali non sono mai contenti di quello che hanno ed è per la loro avidità che le crisi non finiscono mai!
La sobrietà, questa bellissima virtù, che consente di vivere le  relazioni senza inutili conflitti, e fa scoprire la gioia di donare. La povertà più grande è la solitudine, il non sentirsi amati e riconosciuti nella propria persona!
La sobrietà è la virtù di coloro che  credono nella comunità      e combattono l'avidità e lo spreco  anzitutto in se stessi.
Il vangelo ha insegnato ai cristiani a diffidare di se stessi, ad affidarsi al dono divino (lo Spirito Santo è il dono più grande). E la chiesa non deve pensare a fare affari: tutto può perdere; è fondamentale che non perda il Vangelo ed il servizio al popolo.      E' questo che gli chiede Gesù, suo Maestro e Signore!
La crisi si supera meglio  con la sobrietà e la lotta allo spreco, con il vivere insieme  piuttosto che da soli e da single.
La crisi è un'opportunità e un dono di Dio per scoprire che  la vanità del denaro e degli onori di questo mondo valgono   meno  del volersi bene e del vivere in sobrietà.  il don

sabato 7 ottobre 2017

Correzione

"Caratteristica della vera moralità è il desiderio di correzione. Il termine si ricollega a una parola latina che indica il camminare reggendosi insieme". (Luigi Giussani, L'avvenimento cristiano, ed. Rizzoli, Milano 1993, p. 76).
Colui che fa con frequenza l'esame di coscienza  è capace di autocorrezione. Questa è più facile da accettare rispetto alla correzione che viene dall'altro, la quale implica  l'accettazione di una umiliazione. L'altro che mette a nudo una mia mancanza, in qualche modo mi umilia, mi costringe ad ammettere un limite, un peccato, umilia
il mio narcisismo.
A meno che la correzione non sia praticata reciprocamente, in un cammino di vita comunitaria: allora non ci sarebbe più umiliazione, ma emulazione reciproca nel ricominciare a tendere con più intensità e impegno verso il compimento dell'ideale.
Matteo 18,15 intende proprio questo quando dice: "Se tuo fratello pecca, correggilo".
Non si parla del fratello di sangue; il riferimento è al fratello cristiano. Quest'ultimo
legame è molto più intenso, molto più libero, molto più ideale del legame di sangue.
La coscienza morale si affina attraverso la correzione. La pratica della correzione fa rivivere la comunità, la quale si spegne quando ognuno difende il proprio narcisismo.
                 il don

venerdì 6 ottobre 2017

L'evento

La parola ebraica e biblica "ruah" dice spirito e vento. Il profeta Elia incontra Dio nel vento leggero (come si legge nella Bibbia : nel ciclo di Elia).
Che cos'è l'evento se non un incontro imprevisto e imprevedibile, che sorprende ?
Allora, nella sorpresa dell'evento, il tempo ha un protagonismo oppure è soltanto
un ricevitore passivo?
Agostino, nelle Confessioni, prova a dire qualcosa sul dinamismo del tempo: il presente del passato è la memoria; il presente del presente è l'attenzione; il presente del futuro è l'attesa. L'evento, dunque, è un incontro che avviene nel presente, ma intrattiene una relazione col passato attraverso la memoria, ed una prefigurazione del futuro attraverso l'attesa. Questa visione è essenzialmente cristiana: in essa si trova la riconciliazione col passato (né i tragici greci, né Platone e Aristotele avrebbero potuto mai teorizzare una tale visione), la sua redenzione e la sua salvezza; si trova anche la speranza del futuro, che non sarà né disperato né utopico, perché il passato è stato salvato; si trova l'attenzione alla Presenza, nel presente.
Diceva Tertulliano, un teologo del secondo secolo, che il vescovo Cipriano di Cartagine, ricordava essere stato suo maestro di catechetica e di catechesi : "Caro cardo salutis", ossia "Il cardine della salvezza è la carne di Cristo", non uno spirito senza carne, né un vento uragano tempestoso. Di fronte a tale "notizia buona", ossia il matrimonio dello spirito con la carne, sia i tragici greci sia i grandi filosofi (Socrate, Platone, Aristotele) avrebbero rivolto uno sguardo di commiserazione e per disprezzo  non avrebbero detto neppure una parola di commento.   il don