lunedì 26 agosto 2024

L'infinito e il finito

 I Greci non credevano nella morte, come dice il prof. Galimberti, ma nella sua ineluttabilità.Non credevano nel limite, difatti nella TRagedia greca la trasgressione del limite (la Yubris) è ineluttabile. Non credevao nella libertà, salvo quando appare Socrate (che contesta gli dei della città e afferma il dio interiore) e poi Aristetele (che teorizza essere l'uomo un centro decisionale). I Greci tragici non credevano nel finito, lo consideravano un burattino nelle mani di burattinai (gli dei che decidevano il destino). 

Il cristiano può credere nel finito, perchè crede nell'infinito. Il Medioevo ha conosciuto un periodo di riflessione intellettuale molto alta. Non solo Anselmo di Canterbury, ma dopo di lui, Tommaso d'Aquino, Joannes Duns Scoto, Gioacchino da Fiore (che ha atteso otto secoli per vedere aperta la causa di beatificazione, grazie ad un vescovo coraggioso e teologicamente aperto al futuro quale è stato Agostino di Cosenza). Duns Scoto sembra fare una sintesi tra la filosofia metastorica di Tommaso e la filosofia di Gioacchino (storica e spirituale). Duns Scoto dice che Dio è Libertà assoluta, ma non anarchica; la libertà di Dio è relazione agapica. La libertà e l'Agàpe coincidono: è l'dea di persona che ora raggiunge una conoscenza intellettuale più alta. Una conoscenza che non riusciamo a scorgere nell'istituzione "chiesa medievale", ma che viene donata attraverso un carisma (la povertà di Francesco d'Assisi).    Continua Duns Scoto:       l'essere umano è contingente e determinato; la sua libertà si esprime nella relazione con la libertà necessaria e indeterminata di Dio. La metafisica della contingenza di Duns Scoto fa notare alla metafisica dell'essere di Tommaso che dall'esistenza e dalla storia non si può prescindere. Gli esistenzialisti dell'Ottocento e del Novecento (Kierkegaard - Sartre e Camus) portebbero più facilmente dialogare con Duns Scoto che con Tommaso d'Aquino, ma anche con Gioacchino da Fiore. 

La libertà e la storia (il finito) costituiscono una sorta di autocoscienza dell'umanità occidentale, mai raggiunta nei secoli precedenti. 

Il  finito può essere creduto come libertà ed esistenza, e anche come storia di popolo, soltanto se posto in relazione con l'Infinito. Il finito rimarrebbe assurdo se non ci fosse l'Infinito. La rivolta metafisica che Camus invocava,  andrebbe inevitabilmente incontro al suicidio filosofico: l'esito sarebbe legato alla premessa. L'infinito è sia l'origine sia la destinazione del finito. Non lo è solo per l'intelletto, lo è anche per il cuore che chiarisce all'intelletto ciò che la mancanza di povertà rende impossibile raggiungere. In verità, quì si rende la miseria della ricchezza e la grandezza della povertà (Pascal lo faceva notare  a Descartes : le moi est haissable) una realtà evidente. L'Io è inaffidabile: in quanto finito, si perde, è incapace di riconoscersi. Il pensiero meditante non è una risposta esauriente al pensiero calcolante, come voleva Heiddeger. C'è bisogno di un pensiero riconoscente : questo dice all'Io che la sua apparizione è un fenomeno-dono, che non nasce come un fungo, ma ha dietro di sè una relazione tra donatore e donatario. L'io che riconosce il donatore, può riconoscersi come donatario. 

Il donatore è l'Infinito. Il donatario è il finito. La persona è relazione, non Io anarchico! Grazie alla filosofia cristiana, che con la metafisica della contingenza allontana l'umanità dalla rivolta metafisica, che è infine una giustificazione della guerra, fosse anche propagandata da un cristianesimo ortodosso. 

                                don Carmelo Guarini

                                                            

                                      


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